Qual è la cosa peggiore che può capitare ad un famiglia di napoletani veraci, cultori della pastiera e del “raù con le tracchiulelle”?
Una figlia dal dna milanese che adora il panettone e sogna di metter su una “fabrichetta”. Papà Aiello è disperato, non si rassegna al destino crudele. Mammà Patrizia è straziata dal conflitto tra padre e figlia.
Questa l’incredibile storia raccontata da Incantesimo napoletano, l’opera prima di Paolo Genovese e Luca Miniero, duo di pubblicitari cresciuti alla scuola McCann Erickson e poi passati al cortometraggio.
Prodotta da un tris vincente formato da Gianluca Arcopinto, Andrea Occhipinti e Amedeo Pagani, la commedia, realizzata in 7 mesi (da gennaio a luglio 2001), uscirà l’8 febbraio.
Sarà distribuito dalla Lucky Red in circa 50 copie tra cui 30 nella sola Napoli e provincia.
Al centro del vostro film c’è la critica all’integralismo identitario…
Luca. Si, a quella forma di orgoglio che porta a non accettare le differenze. Di solito si parla di razzismo del Nord verso il Sud, ma nel nostro film succede il contrario. Tuttavia, non volevamo scadere nell’accademismo e così le scene drammatiche sono sempre seguite da un contrappunto comico. Il tema della differenza è comune a molto cinema napoletano, penso all’Amore molesto di Mario Martone e a L’uomo in più di Paolo Sorrentino, noi lo abbiamo affrontato con il registro della commedia, un territorio presidiato dai grandi della tradizione partenopea, da Eduardo a Troisi. Ma non vogliamo misurarci con loro anche se gli dedichiamo qualche discreta citazione. Guardiamo piuttosto alla commedia inglese.
L’ambientazione è decisamente pretelevisiva. Perché?
Luca. E’ una scelta stilistica precisa. Si collega al gusto contemporaneo della pubblicità inglese: uno stile povero e per nulla laccato. Anche i coniugi Aiello sono degli archetipi, incarnano il Padre e la Madre con quest’ultima nella tradizionale funzione di mediazione con il resto della famiglia.
Paolo. Nel film ci sono dei veri e propri totem della napoletanità. Questi personaggi fuori dalla storia guardano direttamente in macchina. A loro si contrappongono i componenti della famiglia Aiello, vittime dei luoghi comuni. Poi nel film c’è quello che noi chiamiamo “il monologo di Marina” in cui lei parla con l’icona di Cristo. Il volto santo è apostrofato come un autorevole componente della famiglia. Mostra il rapporto diretto dei napoletani con le figure religiose.
Il film deriva dal vostro primo corto dall’omonimo titolo…
Luca. Si, ma del corto è rimasta solo l’idea centrale, poi c’è stato un grosso lavoro di riscrittura.
Paolo. Poi il corto era fatto di immagini di Napoli realizzate da un nostro amico per un documentario. Noi non avevamo girato nulla.
Come avete scelto Chiara Papa, l’attrice che interpreta Assunta Aiello da piccola?
Luca. Con un casting fatto in alcune scuole milanesi. E’ una non professionista che ci ha convinto, anche perchè la madre non fantastica per la figlia un futuro da diva.
Paolo. Comunque la scelta degli attori è stata molto accurata anche per i ruoli minori.
Come si è svolto il lavoro a quattro mani?
Paolo. Grande attenzione alla fase di scrittura: lavoriamo soprattutto sul soggetto e poi sulla sceneggiatura.
Luca. Formiamo uno strano cocktail. Ora siamo in attesa delle reazioni al film e insieme oscilliamo tra la megalomania e il down depressivo.
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