Scomodo, estremo, volutamente marginale. Dopo Confortorio, Paolo Benvenuti torna con un nuovo film, Gostanza da Libbiano, unico italiano in concorso a Locarno dopo un passaggio al festival di Fiano Romano.
Com’è nato questo film?
Il progetto originale è quello di una trilogia, che parte dal mio Bacio di Giuda del 1976, passa per Confortorio, che è stato a Locarno nel ’92, e arriva appunto a Gostanza da Libbiano. Il titolo del film vuole evocare una figura storica precisa pur parlando del femminile e del suo potere più in generale: dietro i miei film c’è sempre un lavoro molto lungo di ricerca storica. Prima di girare, ho accumulato dieci anni di studio e di “scavo”, negli archivi e negli atti per scrivere la sceneggiatura con Mario Cereghino.
Alla fine del film Gostanza non brucia sul rogo e viene liberata. Anche gli inquisitori appaiono come figure confortanti, persino la tortura è leggera.
Il film narra la storia di due processi: il primo, medievale, con due inquisitori “buoni” che torturano la presunta strega con molta dolcezza, il secondo apparentemente più crudele ma più moderno. Gostanza riesce a salvare la pelle, ma il suo potere femminile viene negato.
Lucia Poli, che interpreta Gostanza, esprime grande sensualità. È raro che a un’attrice non più giovane sia regalato un ruolo così “fisico”.
Gostanza era così: non ho aggiunto una sola parola agli atti del processo. Il problema, semmai, era trovare un’attrice che riuscisse con la sua personalità a rendere la forza e l’intensità che io ho letto nelle risposte del personaggio reale.
Che cosa ti aspetti da Locarno?
Che sia riconosciuta la grandezza di Lucia Poli, che secondo me è la migliore attrice europea: non credo che ci sia in giro un’altra attrice di cinema capace di reggere un primo piano di 7 minuti e 20 secondi, in presa diretta, senza trucco e senza inganno, senza lasciar cadere la tensione neanche per un istante.
Chi guarda il tuo film ha la sensazione che sia tutto costruito sui primi piani della strega.
In realtà non è così. Il rapporto tra campi lunghi e piani ravvicinati è equilibrato, ma l’intensità di Lucia è talmente forte che il mondo esterno, rispetto a lei, passa un po’ in secondo piano. Del personaggio di Lucia m’interessava l’anima: il lavoro che abbiamo fatto prima di iniziare a girare mirava ad aiutarla a spogliarsi della sua gestualità teatrale per arrivare a esprimere la sua interiorità di donna.
Ti sei avvalso anche di una consulenza da parte della Chiesa, nella persona di padre Virgilio Fantuzzi.
Padre Fantuzzi è un carissimo amico. Ma io ho un rapporto molto conflittuale con la Chiesa: la mia trilogia riguarda proprio il rapporto tra l’identità individuale e il potere religioso. Una parte della Chiesa ha rifiutato e ostacolato i miei film, mentre un’altra parte – compresi alcuni vescovi – ha visto nei miei film un momento di riflessione religiosa e li ha promossi. Fantuzzi rappresenta quella parte aperta e disponibile.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Preferisco parlare delle cose fatte. Ogni volta che faccio un film, per me, è come vincere al Totocalcio, perché il mio modo di essere nel cinema è volutamente al di fuori di tutti gli schemi produttivi e distributivi. Mi ritengo un emarginato e lo sono volutamente, perché da sempre mi tengo fuori dal mercato e dalla pornografia cinematografica che viene normalmente prodotta in questo Paese. Ho sempre realizzato film con i soldi dello Stato. Per Gostanza da Libbiano ho preso il famigerato art. 8. La commissione, di cui faceva parte anche Dacia Maraini, ha letto ben 120 sceneggiature e alla fine ne ha scelte 5, tra cui la mia. Stavolta, però, il mio film, a differenza dei precedenti, non sarà proiettato soltanto in qualche festival, ma anche nelle sale. Uscirà con la Lab80 di Bergamo e la MK3 di Torino, due piccole società di distribuzione che lo proporranno, tra agosto e settembre, a Torino, Milano, Bologna, Roma e Firenze.
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