TRENTO – Opera seconda dopo Roma Termini (2014), Lassù di Bartolomeo Pampaloni partecipa in Concorso al 70mo Trento FF, presentando il film in anteprima assoluta.
La sua opera offre un’originalissima visione della verticalità: c’è un alone presente e misterioso connesso alla morte, vicino alla spiritualità, quasi alla follia. Come nasce l’idea di Lassù?
Nasce tutto dalla grande fascinazione che hanno esercitato su di me le opere di questo eremita-artista, viste in un cortometraggio quando frequentavo il Centro Sperimentale a Roma, un film del CSC di Palermo – sezione Documentari, in cui veniva mostrata un po’ dell’imponente opera di questi mosaici naïf; io sono sempre stato affascinato dagli outsider artist, dalle persone che fanno arte senza averne avuto una formazione ma la maggior parte sono persone dei primi del ‘900. Quando ho scoperto che l’autore di questi mosaici, che non c’era nel film, perché personaggio vivente ma quasi semimitologico anche a Palermo – pochi l’hanno visto, tanti ne parlano – ho capito che fosse una situazione attiva, e la mia fascinazione per le persone che si ritirano dal mondo mi ha creato la curiosità di toccare con mano cosa significasse un’esperienza del genere, così mi sono avvicinato alla montagna e a questo singolare personaggio. Il film che ho fatto s’è trasformato nel tempo, dalla fascinazione per le sue opere ho capito che quello fosse il film che volevo fare quando mi sono trovato davanti alla sua montagna e lì di fronte ho visto il più grande abuso edilizio d’Italia, questo vecchio osservatorio trasformato in tempio, con di fronte il Pizzo Sella, che i palermitani chiamano ‘la collina del disonore’, parte del Sacco di Palermo di Ciancimino negli Anni ’70, ovvero 150 villette in cemento armato in una zona parco naturale, mai terminate e rimaste lì come scheletri; questo contrasto, la dicotomia di un uomo che da solo, che a sue spese e di sua iniziativa, si era dedicato a rimettere a posto questo osservatorio, di fronte a uno scempio così violento, mi ha fatto ‘vedere’ il riassunto del mio Paese. Nella vita non ama farsi chiamare Nino, ma è recensito dall’Osservatorio Outsider Art di Palermo come Isravele, che se si legge al contrario sarebbe ‘elevarsi’, aneddoto anche da appassionato di parole crociate, quale lui è.
Lassù. Un titolo che evoca cime, paradisi, o inferni, che evoca uno sguardo che si rivolge verso il cielo o che dal cielo ci osserva: qual è la sua personale spiritualità e come l’ha innestata nel film?
Lassù per me è un doppio senso: si vede da tutta Palermo questo promontorio, ma lassù è anche l’orizzonte di riferimento del mio personaggio, che non vive per gli uomini, per farsi riconoscere dal mondo, ma come agente di una missione che lo trascende. Lo fa in maniera anti dogmatica, che risponde anche alla mia forma di spiritualità, che non è legata a delle chiese o delle religioni, ma connessa a una forma di esperienza il più diretta possibile con un divino insito nel mondo naturale, che devo dire che in quel luogo, brullo ma a picco sul mare, battuto dai venti giorno e notte, con un silenzio surreale rispetto al caos della città, ha qualcosa della spiritualità come intesa da me, un silenzio interiore che è profondo, che non ha a che fare con dogmi o discipline. Lui ha un retroterra cattolico, ma non segue dottrine, anche perché ha la pretesa di parlare direttamente con Dio, non vuole intermediari.
Il film parte da un Sud specifico e l’ascesa è anche molto simbolica, oltre che fisica: come ha scritto il personaggio per permettergli questa ‘scalata’? Si è ispirato all’idea di una arrampicata alpina?
In realtà, il luogo è conformato come una montagna, seppur piccola, a 500 mt dal livello del mare: quasi ogni giorno, da più di vent’anni, lui sale e scende, porta in alto tutto il materiale da costruzione che prima gli è servito per ristrutturare e poi per decorare. È proprio insita al luogo e al personaggio l’idea di ascesa, che per lui è una forma di purificazione. Quindi anche tutti i pellegrini che vengono a visitare il posto per lui compiono un cammino di purificazione, lasciando lassù le scorie di quello che si portano dentro. Può essere una cultura che lui ha mediato da quella di Santa Rosalia, anche lei eremita, che ha il suo santuario sul Monte Pellegrino, di fronte, e su cui ogni anno i palermitani fanno la cosiddetta ‘acchianata’, cioè salita, con l’idea arcaica di fare questa ascesa per redimersi e purificarsi.
L’uomo ‘lassù’, ovvero Nino, proclama la venuta dell’Apocalisse: quella che lei gli fa definire tale è un’eco della circostanza apocalittica in cui la natura circostante sta vivendo?
La costruzione del racconto è farina del mio sacco: lui si è prestato ma non ha voluto partecipare alla costruzione del film, e il solo fatto di essere riuscito a filmarlo m’era parso un grandissimo risultato, poiché spesso non si fa nemmeno vedere dalle persone. L’idea di apocalisse è qualcosa che è centrale per lui: ha frequentato fino alla quinta elementare, ha fatto il muratore, non ha una cultura, però tiene con sé il libro dell’Apocalisse, non la Bibbia. Per lui l’apocalisse non è tanto la fine del mondo ma un’epoca di grande distruzione, eppure volta a un grande rinnovamento: secondo lui ci siamo già dentro. E io volevo cercare di ritrascrive il suo messaggio senza essere didascalico, cercando di portarlo a livello di immagini nel film.
Partecipa a un festival di montagna: nei suoi pensieri prossimi, la montagna, fisicamente o metaforicamente, pensa ritornerà nel suo cinema futuro?
Sono anni che la montagna mi chiama. Io non vengo dalla montagna, sono toscano, ho prossime le Apuane, di enorme fascino. Non avevo però mai pensato alla montagna come luogo di cinema, ma da lungo tempo mi porto dentro questo richiamo, tanto che sono anni che ho scritto un film ambientato sulla Alpi: negli anni è cambiato e evoluto, e sto cercando adesso di far sì che diventi il mio prossimo film, provando a ibridare documentario e finzione. Le Alpi mi richiamano, la montagna in questo momento ha sicuramente qualcosa a che vedere con me, e sono motivi che mi stimolano a spingere in avanti il mio lavoro.
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