PADRE VIRGILIO FANTUZZI


Di una cosa è convinto padre Virgilio Fantuzzi, collaboratore della rivista La Civiltà Cattolica, che il nostro cinema sia connotato da una forte espressione e tensione religiosa, a cominciare dagli ultimi lavori come La felicità non costa niente di Mimmo Calopresti, nelle sale a febbraio, Il miracolo di Edoardo Winspeare in via di realizzazione, e Passione di Giosuè l’ebreo di Pasquale Scimeca, prossimo impegno dopo Gli indesiderabili. Un giudizio avvalorato dalla lettura in prima persona delle sceneggiature, quando padre Fantuzzi era membro della Commissione consultiva cinema. E che ampiamente illustrerà sabato prossimo nella sede di La Civiltà Cattolica, a Roma, in occasione della conferenza sul tema “Il risveglio religioso del cinema italiano”.

Non è forse un po’ azzardata questa tesi?
L’idea mi è venuta a Pasqua dell’anno scorso quando ho visto L’ora di religione e L’amore imperfetto, opere che mi hanno dato emozioni sia estetiche che religiose. Bellocchio descrive la condizione di uomo che cerca un po’ di tranquillità, s’è creato un angolo di laicità e si sente assalito dal mondo circostante che assume caratteri religiosi. Ma è tutta realtà obiettiva? Castellitto è in uno stato di perenne dormiveglia, vive situazioni reali ma anche immaginarie. Si sente assediato da questi fantasmi. L’immagine emblematica di questo labirinto mentale è quando va a trovare il fratello in manicomio che all’improvviso comincia a bestemmiare. Quella bestemmia più che un’imprecazione, sembra un’invocazione travestita da imprecazione. Al posto del Cristo che muore c’è questo malato che a suo modo prega e verso il quale Castellitto mostra una forte pietas. Anche il film di Maderna presenta un’analoga situazione di “calvario”, con connotati più ortodossi rispetto a Bellocchio.

L'ora di religione Un risveglio religioso che trova in altri autori?
In L’assedio di Bernardo Bertolucci e La stanza del figlio di Nanni Moretti troviamo due adulti in crisi che arrivano in chiesa mentre il prete officia leggendo brani del Vangelo nei quali Gesù dice “Tenetevi pronti quando è il momento della resa dei conti, dovete essere presenti a voi stessi” è allora che i due protagonisti trovano lo snodo del loro percorso. Penso a Paolo Benvenuti, regista profondamente intriso di religiosità, ai fratelli Taviani con Resurrezione.

Il risveglio di cui lei parla presuppone un sonno profondo?
Direi uno stato di torpore, di sonnolenza, non solo da parte di coloro che producono, ma anche di quanti il cinema lo consumano. Penso ai cattolici che erano tutti impegnati a prendersela con il film di Bellocchio mentre usciva il film di Maderna che sposa per intero la tematica cattolica, confrontandosi con il dilemma di un nascituro che avrà poche possibilità di sopravvivenza.

E registi che non dormono?
Ai nomi che ho citato all’inizio aggiungerei Giuseppe Gaudino con il suo Giro di lune tra terra e mare e Alessandro Piva con La capagira, anche se non hanno successo plebiscitario dal pubblico.

E la critica cinematografica?
A differenza del caso francese non abbiamo testate di cinema che possano imporre criteri di valutazione come avviene con i “Cahiers du cinéma”. Ci sono pubblicazioni che hanno scarsa incidenza a livello internazionale e spesso le recensioni sui quotidiani sono relegate il sabato quando una mezza pagina scarsa ne contiene anche 4 o 5. Non c’è attenzione sufficiente verso quello che l’autore esprime con la sua arte, quel che conta è la promozione. Per fortuna ci sono delle eccezioni tra i critici, a cominciare da Goffredo Fofi, Fabio Ferzetti e Roberto Silvestri.

Che ne pensa delle polemiche sulla volgarità di film come “Natale sul Nilo”?
Mi occupo per Civiltà cattolica di certi film e non di altri. Si tratta di una piccola percentuale e non dei film più visti. E’ già una presa di posizione, perciò non ho bisogno di schierarmi. Del resto se parliamo di volgarità basta vedere quel che programma la televisione, quanto al cinema basta non vedere certi film.

autore
24 Gennaio 2003

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