“Non solo in Italia, come si vede in Gomorra, ma in tutto il mondo non c’è più rispetto per le regole né punizione per i colpevoli e George W. Bush ha contribuito a tutto questo”. Per Oliver Stone il 43° presidente degli Stati Uniti è una vera ossessione, un’ossessione potente che nasconde uno degli eterni misteri della politica. Come ha fatto questo texano dal passato discutibile e dall’intelligenza limitata a diventare l’uomo più potente del mondo e portare quel mondo verso il baratro? “L’abbiamo tutti sottovalutato, ma può accadere ancora, potrebbe reincarnarsi in una Sarah Palin o in chissà chi”, scherza il 62enne regista, tre volte premio Oscar.
W, che ha inaugurato il Torino Film Festival in una serata battuta da un vento di tregenda, ci mostra il giovane Bush, che suo padre chiama eternamente Junior, come un uomo complessato e insoddisfatto, un ragazzo viziato e raccomandato che non ne azzecca una. Iscritto all’università più per fare il goliardo che per studiare, amante della birra e del whisky, incapace di tenersi un lavoro qualsiasi, surclassato dal fratello minore Jeb nella stima di papà, a quarant’anni suonati risale la china grazie alla moglie Laura (“Lascio che sia lei a leggere per me”, amava dire) e alla conversione alla fede cristiana che ne fa un “born again”. Ma la cosa più agghiacciante del film, rifiutato in Italia dalle major perché costava troppo ma ora acquistato, pare, da un piccolo distributore indipendente, sono i vertici alla Casa Bianca, dove si decidono le sorti del pianeta, a colpi di battute dilettantesche e luoghi comuni. Uniche teste pensanti: il vice Dick Cheney (un notevole Richard Dreyfuss) e il segretario di stato Colin Powell. Ma nel nutrito cast spicca sopra a tutto Josh Brolin, che potrebbe tranquillamente aspirare a una nomination magari sfidando il Nixon di Frank Langella.
Lei aveva già affrontato due volte una biografia presidenziale con Nixon e JFK, ma questa è la prima volta che decide di parlare di un presidente in carica. Cosa piuttosto ardua.
E’ stato rischioso, perché la situazione politica poteva mutare da un momento all’altro. Poteva esserci un altro 11 settembre oppure un attacco all’Iraq. Poi l’economia è crollata e questo ha smorzato i toni dell’amministrazione Bush. Anche il film ne ha risentito, benché sia andato abbastanza bene al botteghino.
Rispetto al suo cinema, “W” ha un tono molto più grottesco e meno drammatico, quasi di commedia.
Considero il film una satira e non una commedia. Nella satira si parla di cose serie e alla fine siamo noi ad essere presi in giro. Spero che si comprenda la gravità delle conseguenze delle azioni di un uomo che fin dall’inizio è stato sottovalutato, anche in Europa. Tra vent’anni ci ricorderemo ancora di lui, avrà un impatto maggiore di Reagan e di Nixon.
Come avete fatto a ricostruire i dialoghi all’interno della Casa Bianca?
Naturalmente non potevamo conoscerli, anche se abbiamo fatto un lavoro di documentazione molto serio. Tuttavia W è un dramma storico e non un documentario. Così abbiamo forzato un po’ la situazione, per esempio nella lunga scena, che dura undici minuti, del confronto con Cheney, Condoleezzaa Rice, Donald Rumsfeld e Colin Powell, quando si parla dell’Iraq e dell’Iran. Ma anche lì ci basiamo su opinioni espresse pubblicamente da questi personaggi e tutte le ricerche che abbiamo fatto le trovate nel sito internet del film.
Perché le piace così tanto raccontare la Storia americana?
Amo la Storia e penso che contenga delle buone storie. Per esempio quella di Bush, un pazzo certificato, un Candido alla Voltaire, con un ego spropositato e privo di qualsiasi curiosità intellettuale, disinteressato alla vita interiore, pieno di lacune culturali, incapace di parlare senza fare strafalcioni.
Se la sua ascesa resta paradossale o sintomatica dell’attrazione delle masse per personalità un po’ discutibili, almeno sappiamo cosa ha provocato il suo crollo.
Bush, nella mente degli americani, è morto il 16 settembre. La spaventosa crisi economica ha oscurato tutto, compreso il motivo per cui Obama è stato eletto, cioè modificare la posizione degli Stati Uniti in Iraq. Ma la crisi forse avrà anche un effetto positivo, mettere fine all’atteggiamento aggressivo dell’America a livello mondiale. D’ora in avanti non sarà più possibile permettersi di avere tante basi militari nel mondo né sostenere l’economia di altri paesi come è stato fatto. Però fate attenzione a pensare che Bush sia scomparso: come il padre di Amleto può riapparire quando meno te l’aspetti. Ecco perché è importante ricordare.
Pensa che Josh Brolin avrà una candidatura all’Oscar?
E’ molto probabile. Josh è un bravissimo caratterista ed è il tipico caso di un attore che non riesce a diventare famoso, ma all’improvviso, a 40 anni, ha cominciato a emergere, specialmente con il film dei Coen Non è un paese per vecchi. Ha una storia parallela a quella di Bush che alla stessa età era un fallito in tutto: negli studi, come atleta, come imprenditore e anche come politico. Inoltre anche Josh aveva questo padre ingombrante, una vecchia star di Hollywood che ha sposato Barbra Streisand. E poi in lui ho visto un cow boy alla John Wayne, un texano aggressivo, uno che può fare lo stupido anche se non lo è per niente. All’inizio, quando gli ho parlato di queste analogie, Josh si è offeso, ma poi ha accettato la sfida.
Ha appena visto “Gomorra” di Matteo Garrone. Che ne pensa?
E’ un film potente, anche se piuttosto difficile per il pubblico americano perché ha molti personaggi e una trama piuttosto confusa. Noi siamo abituati a un intreccio più semplice. Comunque è un film che racconta qualcosa di molto triste, per l’Italia e per il mondo: la scomparsa del rispetto per le regole e della punizione.
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