CANNES – 30 anni dopo JFK – Un caso ancora aperto (1991), interpretato da Kevin Costner, il regista Oliver Stone torna sul medesimo soggetto, il presidente Kennedy, scegliendo la forma documentaria e facendo un massiccio uso di materiale d’archivio, sin dalla primissima sequenza, in cui un Kennedy in bianco e nero tiene un comizio e ribadisce, fermamente, lucidamente, accoratamente il concetto di “pace”, scelta autorale in perfetta armonia con le parole del suo regista, che, nel presentare alla stampa JFK Revisited: Through The Looking Glass, nella sezione Cannes Premiere, dice: “Chi è nato dopo il ’63 deve realizzare che JFK ha lottato per la pace. Kennedy ha cambiato le cose, senza di lui non esisterebbero gli USA del presente: il film è importante per i giovani, per non farli crescere con dei preconcetti”.
Il doc di Stone ha una struttura solida di repertorio, dalle sequenze originali dell’omicidio avvenuto a Dallas il 22 novembre 1963 alla folla pullulante fuori dal Campidoglio di Washington, alla rappresentanza di 53 Paesi per le esequie del presidente. Stone, pur scegliendo per la maggior parte materiale d’archivio per la costruzione del suo film, ha il merito di restituire la tensione e la suspense di un thriller, che ad ogni sequenza fa porre un punto di domanda, un dubbio, un sospetto.
Oliver Stone che del suo film “omologo” del ’91 dice: “era una compressione e sintesi di alcuni fatti”, qui invece mostra “prove originali, documenti ufficiali, fotografie” – ci sono decine, centinaia di documenti ancora secretati, alcuni addirittura per un’altra decina d’anni, s’evince dal doc -, tanto della Commissione Warren – inchiesta parlamentare costituita il 29 novembre 1963 dal presidente Lyndon B. Johnson per indagare sull’assassinio di John F. Kennedy – quanto dell’FBI e della CIA, e l’interrogativo che serpeggia perenne è quello della cospirazione.
Oliver Stone entra in campo in prima persona nel film, oltre che dirigere dietro la macchina da presa, e lo fa tornando nella capitale del Texas oggi: calandosi nei panni di “giornalista” interroga faccia a faccia patologi forensi, oftalmologi, esperti d’investigazione, figure tutte con la consapevolezza dei dettagli della materia sfaccettata che disegna il cerchio incompiuto – e che probabilmente mai si chiuderà – sul tema, insieme ai narratori vincitori dell’Oscar®, Whoopi Goldberg e Donald Sutherland: molte riflessioni dei professionisti interpellati ruotano intorno al mitico “proiettile magico”, il CE 399, quello che ha colpito il Presidente, e che, più d’un documento ufficiale riporta aver avuto una balistica differente, senza che ci sia un’unità di punto di vista, come se la cosa fosse possibile, così altrettanto per le incongruenze di certi orari che cadenzano i passi di quella giornata, sempre tutte ufficiali allo stesso modo.
Lee Harvey Oswald, il criminale e militare statunitense ufficialmente ritenuto responsabile dell’assassinio – con o senza il supporto delle tre donne che erano all’interno dell’edificio da cui è partito il colpo mortale: testimoni o complici? – è anch’esso una delle colonne per cui, anche rispetto a questo: “era importante proporre una retrospettiva” sull’assassinio, riflette Stone, che afferma anche “come ‘più persone’ hanno ucciso JFK”, non avendo personali dubbi sul fatto che avesse molteplici nemici, prima della morte come dopo, ecco perché – secondo Stone – la nebbia ancora aleggia sull’accaduto.
I Wonder Pictures annuncia l’acquisizione del doc e la prossima distribuzione in sala, mentre Oliver Stone anticipa: “Il mio prossimo film sarà sulla CO2, sulle forme di energia pulita nel mondo”.
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