Volare è uno dei grandi privilegi dell’era moderna che ormai diamo praticamente per scontati. Un sogno ancestrale dell’essere umano che è diventato realtà, rendendo il mondo improvvisamente più piccolo e connesso. Dopo il buon debutto di Margherita Buy con il suo Volare, arriva nelle sale italiane dal 18 aprile una nuova commedia incentrata su una delle fobie più invalidanti che ci siano: quella di spiccare il volo. Non volere volare (in originale Northern Comfort) è il primo film in lingua inglese del regista islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, che crea un originale ibrido tra il classico umorismo britannico e quello tipico dei paesi nord europei, algido e grottesco. Per riuscirci sfrutta l’unicità del paesaggio del suo paese d’origine e il talento di un cast anglofono composto da nomi del calibro di Lydia Leonard, Timothy Spall, Ella Rumpf e Nick Blakeley.
Protagonista del film è Sarah, una donna londinese in carriera affetta da una forte aerofobia che è disposta a tutto per compiere il primo viaggio insieme all’uomo che ama e sua figlia: anche iscriversi a un corso accelerato che la metterà faccia a faccia con la sua più grande paura, costringendola a volare fino all’Islanda e ritorno in una sola giornata. Al suo fianco troverà altri tre “volatori impavidi” – un popolare scrittore ed ex vetarano di guerra con un evidente disturbo post traumatico, una fashion influencer e il suo goffo fidanzato – e un istruttore alle prime armi, che si troverà da solo ad affrontare una situazione più grande di lui. Chiaramente le cose non andranno come previsto e i viaggiatori si ritroveranno bloccati in uno sperduto albergo islandese in un crescente clima di tensione che li metterà faccia a faccia con i loro traumi più profondi. Le situazioni con cui i personaggi si troveranno presto a confrontarsi saranno così estreme che la paura di volare diventerà l’ultimo dei loro problemi. La fobia di Sarah e dei suoi compagni sarà superata solo nel momento in cui avranno trovato una destinazione per cui valga davvero la pena di affrontare anche la peggiore turbolenza.
Non volere volare è una piccola storia corale che si regge quasi interamente sul talento dei suoi eccellenti interpreti, su tutti Lydia Leonard e Timothy Spall, chiamati a dare libero sfogo alla loro vena attoriale, mettendo in scena l’emozione più pura che possa esistere: il terrore irrazionale. Le scene più memorabili sono quelle strettamente legate al tema dell’aerofobia, grazie all’efficacie conflitto di un personaggio che prova ad affrontare direttamente la sua più grande paura.
Sigurðsson perde un po’ le redini del film proprio quando si trova a giocare in casa, ovvero nel secondo atto ambientato interamente in Islanda. Per restituire una condizione di disagio, l’autore dà libero sfogo alla sua creatività in situazioni sempre più estreme. L’improvvisa virata a una comicità caustica, però, rischia di mettere in difficoltà lo spettatore, che si troverà privo di punti di riferimento, sperduto nel gelo islandese proprio come i personaggi sullo schermo. Al netto di caratteri secondari un po’ fumosi e macchiettistici, fortunatamente quello della protagonista è ben sviluppato. La paura di Sarah è lampante e credibile, così come le ragioni che la portano ad affrontare un’avventura tanto folle. Da non “volere volare” a desiderarlo disperatamente il passo è più breve di quello che sembri, a volte basta una sfortunata vacanza in Islanda.
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