NICOLA PIOVANI


“Più che una lezione, che richiederebbe un vero professore, sarà una riflessione ad alta voce sulla musica e il cinema di Fellini, dove le mie esperienze di spettatore ammiratore prima, e di artigiano collaboratore poi, tenteranno di illuminare qualche passaggio di questo argomento fascinoso e misterioso insieme”. Il compositore Nicola Piovani anticipa a tamtam la sua lezione, in programma il 20 maggio a Cannes: uno degli eventi dedicati al grande regista riminese insieme alla retrospettiva integrale dei suoi film e a una serie di omaggi musicali con protagoniste le colonne sonore di Nino Rota e Piovani stesso. Il premio Oscar (La vita è bella), compositore preferito da Benigni, Moretti e dei fratelli Taviani, ha lavorato per le ultime 3 opere di Fellini, ottenendo due riconoscimenti: il David di Donatello (’86) per Ginger e Fred e il Nastro d’argento (’91) per La voce della luna.

Ricorda il primo incontro con Fellini?
Sì, molto bene. Mi aveva telefonato a casa il suo aiuto regista dicendomi: “Federico Fellini vorrebbe incontrarla, se lei fosse libero domani, se potesse venire in mattinata sopra il teatro Cinque di Cinecittà…” Ho pensato a uno scherzo, frequentavo a quei tempi molti amici napoletani burloni. Stavo lavorando in quei giorni con Paolo e Vittorio Taviani al montaggio della musica di Kaos, in una moviola di Cinecittà a due passi dal teatro Cinque. Alle undici ho interrotto il lavoro e sono andato, con i Taviani emozionati quanto me che mi dicevano “In bocca al lupo!” Poi le prime chiacchiere con Fellini, leggere, profonde, indimenticabili… continuate per una decina di anni…

Che cosa chiedeva Fellini alla musica in un film?
Mah, qualche volta, dopo che avevamo pranzato e si tornava in moviola al montaggio della musica, diceva scherzando “Andiamo a mettere nella pellicola un po’ di venticello, quel vento capace di far volare anche sequenze con i piedi di piombo…” Cercava una musica che animasse le immagini da un’altra angolazione, da un punto di vista sorprendente, spiazzante.

Lei arrivò dopo Gianfranco Plenizio, soprattutto dopo Nino Rota. Quanto pesò la loro “eredità”?
Fellini e Rota in tanti anni e in tanti film avevano costruito un unico grande film sonoro, ogni film era la tappa di un viaggio di suoni e immagini iniziato con Lo sceicco bianco e culminato nella folgorante Prova d’orchestra. Il loro rapporto intuitivo, la sintesi delle loro due genialità, è stata interrotta bruscamente. Chi era chiamato a “seguitare” quel lavoro non poteva, non doveva fare altro che inserirsi e proseguire in quel meraviglioso zodiaco. Come un pittore rinascimentale chiamato a finire una Cappella, un lavoro interrotto per la morte del maestro. Un po’, per capirsi, come Franco Alfano che si trovò a finire la “Turandot”, composizione interrotta per la morte di Puccini. Non si poteva far altro che ripartire da quelle marcette, quelle citazioni, quelle sequenze armoniche – peraltro meravigliose!

“Ginger e Fred”, “Intervista”, “La voce della luna”, per ciascuno di questi film Fellini quale musica scelse?
Quando ho musicato Ginger e Fred, il primo, ero molto emozionato, ma ero facilitato da un forte punto di partenza: le musiche dei balletti originali, che occhieggiano dietro a tutta l’ultima parte del film. Ma volevo far sentire anche quanto i protagonisti, Amelia e Pippo, fossero lontani da Ginger e Fred. Amelia e Pippo con le loro aspirazioni dolcissime e poverelle, coi loro fallimenti e il loro anelito all’America. Intervista è un vero e proprio omaggio a Nino Rota che ho fatto con tutta la devozione che il maestro meritava. Per La voce della luna abbiamo invece ricercato molto, e forse un po’ trovato, vie musicali nuove, più disperate, meno – come si dice – felliniane in senso stretto.

Come si svolgeva il vostro lavoro?
Il lavoro vero e proprio, che si riduceva a una manciata di ore, era preceduto da lunghe, lunghissime chiacchiere, che spesso mi sembravano inutili per il film stesso, ancorché esaltanti per me personalmente. Ma Fellini era invece convinto che questo approccio al lavoro fosse il più fertile. E comunque era il più piacevole.

Un aneddoto della vostra collaborazione?
Stavamo missando Intervista. Una sequenza si chiudeva con un sonoro “Vattela a pià n’der culo”. Siccome suonava un po’ greve, provammo a spostare la musica seguente, ad anticiparla, in modo che coprisse la parola culo. Al riascolto lui disse “No, così è poco”. Riprovammo, lasciando scoperto “cu” e coprendo “lo”. Non funzionava. Provammo e riprovando, andando avanti per tentativi tutto il pomeriggio. A un certo punto Fellini mi guarda e mi fa:” A Nicolì, ma se adesso si aprisse la porta, entrassero degli infermieri in camice bianco e ci dicessero che è ora di rientrare in manicomio, tu te la sentiresti di dargli torto?”

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