NICOLA DE RINALDO


La vita degli altri, un film ispirato alla dura realtà della camorra ma visto da dietro la linea d’ombra di un uomo solo, costretto a fare i conti col suo passato: il protagonista Mariano (uno splendido Renato Carpentieri) assume così una dimensione poetica, quasi eroica seppure sottotono… Nelle sale dal 12 aprile distribuito dalla Thule.

Come nasce questa storia?
L’idea originale è ispirata alle famose vicende di pentiti che nel ’96-’97 riempivano le cronache, quando lo Stato era molto attivo contro il crimine organizzato… il personaggio ci aiuta a riflettere su persone come Buscetta, che decidono di dare un taglio netto con la loro vita criminale passata. Ma non volevamo fare il classico film con inseguimenti e sparatorie: abbiamo cercato di spiare all’interno di un uomo così per capire quali relazioni mantiene attorno a sé, di capire se e quali legami possa spezzare o rafforzare… il film affronta quelle zone di confine che stanno intorno al potere, dove i rapporti ambigui tra bene e male sono comunque segnati dalla forza.

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Mariano è isolato dal mondo, Napoli rimane sullo sfondo e non connota radicalmente il film. Lui è un eroe solitario, vive attorniato solo da vasi greci, reperti antichi: la cultura della prevaricazione ha origini così colte, universali?
Esiste sicuramente qualcosa di primitivo, di omerico. Ma le sovrastrutture culturali, le regole e l’etica mafiosa – come spiega ad un certo punto Mariano – in realtà sono sempre state una copertura per la violenza. Che si esercita sempre sui più deboli, come Luisa, che lui vuole proteggere: le confessa che se avesse incontrato persone meno deboli, qualcuno che gli avesse opposto qualche resistenza, non sarebbe diventato quello che è.

Risulta importante il lavoro del cast tecnico, a enfatizzare la figura di Mariano…
Sì, soprattutto la fotografia – che si ispira lontanamente al Padrino – e che tende ad isolare Mariano da ciò che lo circonda, e insieme la musica con le sue arie larghe che ben si adattano al ritmo lento del film, hanno contribuito a farlo avvicinare più alla tragedia greca che alla classica fiction dove “veloce” è sinonimo di “bello”.

Ogni personaggio rappresenta un aspetto diverso della tragedia: la forza, la paura, la volgarità…
La storia non è invadente: è anche per questo che ognuno viene fuori in modo distinto… e per il loro contributo devo ringraziare gli straordinari attori del film. Per esempio il personaggio di Cennamo (Patrizio Rispo) non è un vero capo, nonostante la sua ferocia, perché non ha il carisma di Mariano, al quale vorrebbe assomigliare: rappresenta l’aspetto volgare e violento del potere, di fronte a quello elegante… Mariano alla fine conclude la catena di morti e vendette nell’unico modo che gli rimane, ma proprio così può salvare la vita a sua figlia Silvia, e a Luisa. Il suo è un sacrificio nobile, un gesto positivo che conclude la sua vita segnata dalla prevaricazione.

autore
11 Aprile 2002

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