Nell’Arena di Rainbow Cgi


Per promuovere il nuovo film d’animazione in 3D Gladiatori di Roma, che uscirà con Medusa il 18 ottobre, e circa sei mesi dopo anche negli Stati Uniti con Paramount, la Rainbow Cgi di Iginio Straffi (creatore delle Winx e di Huntik e regista anche di questa nuova pellicola) ha organizzato un entusiasmante tour negli Studios, mettendo la stampa direttamente di fronte alle varie fasi della realizzazione del progetto. Il film, un divertente omaggio al genere ‘peplum’ e naturalmente al celebre predecessore di Ridley Scott con Russell Crowe, è praticamente terminato, ma per permetterci di calarci al meglio nell”arena’, l’amministratore responsabile Francesco Mastrofini, coadiuvato dai rappresentanti dei vari reparti, simula per noi l’intero processo di strutturazione di una scena in particolare, che vede protagonista la buffa strega Circe, una megera che parla con uno spiccato accento pugliese. Noi, però, sentiamo le sue battute in inglese, perché il progetto, come tutti quelli di Rainbow, parte già con delle prerogative internazionali.


Il percorso è organizzato in modo da coprire ogni tappa del processo di realizzazione, partendo naturalmente dall’idea, che poi diventa bozzetto e infine vera e propria sceneggiatura. “Parliamo di circa cento pagine – ci spiegano – con circa 130 scene, e ogni scena può contenere fino a 100 inquadrature. Non lavoriamo con attori quindi il processo di previsualizzazione è particolarmente importante, perché ci permette di definire tempi e costi di ogni porzione di film. Da un thumbnail molto generico, in cui si schizzano velocemente le immagini per capire tempi e movimenti dei personaggi su schermo, si passa al vero e proprio storyboard, più definito, e infine al movieboard, un filmato con i disegni statici montati in sequenza e già una parte di dialogo recitata sopra. Naturalmente, non si tratta ancora della versione definitiva, per cui in questa fase non usiamo doppiatori ma qualche ‘malcapitato’ dei nostri uffici che presta la sua voce per darci un’idea di come sarà la scena. Facciamo anche 10 o 20 prove per ogni inquadratura”. Solo facendo un generico calcolo di questa porzione di progetto, possiamo immaginare la mole enorme di lavoro che c’è dietro a un film di questo genere. E possiamo sfatare un luogo comune che, purtroppo, in molti applicano ancora ai film di animazione realizzati con il computer: che siano le macchine a lavorare invece delle persone. Niente di più falso. Le macchine sono strumenti, ma dietro c’è ancora tanta competenza artistica e doti applicative che non esiteremmo a definire artigianali.

 

La fase successiva, illustrata dal direttore artistico Vincenzo Nisco – che alle spalle ha ben 12 film realizzati in Disney – non fa che confermarlo. Prima di tutto ci sono bozzetti e schizzi, disegnati a mano da artisti con la A maiuscola, che definiscono il look di ambienti, luci e personaggi e faranno da base a quanto dovranno fare poi modellatori e animatori. “Parliamo di circa 150 scenografie e 350 personaggi – racconta Nisco – Senza tener conto di dettagli come vestiti, folle, materiali, espressioni facciali. Disegniamo tutto, comprese le pietre e i fili d’erba. Il modellatore deve avere più informazioni possibili e il più precise possibile. Il film lo abbiamo iniziato a marzo 2006. Lo stile che abbiamo scelto è semi-realistico, e al protagonista Timo abbiamo dato delle fattezze che ricordano vagamente Brad Pitt“.

Poi passiamo al reparto modellazione, dove il senior modeler Lino Masciulli ci svela in piccola parte i segreti di Maya, il programma maggiormente usato per la modellazione in 3D. “Tutto parte da un poligono semplice, come un cubo, da cui, attraverso vari strumenti, si definiscono le forme, ad esempio il volto di un personaggio. Lo facciamo sulla base del model sheet che arriva dai reparti artistici, che sono molto dettagliati. Ad esempio un personaggio deve essere disegnato da diversi punti di vista: di fronte, da dietro, di lato, dall’alto”. Poi, attraverso l’ausilio di una tavoletta grafica, Masciulli inizia a scolpire sul volto del personaggio i dettagli come rughe o cicatrici. Difficile da spiegare, se non lo si vede, ma l’impressione è proprio quella di trovarsi davanti a uno scultore che lavora con il suo scalpello.
“Il livello di dettaglio – spiega Mastrofini – è scelto dal management in base ai tempi che ci si prefissa di seguire, e naturalmente al budget. Potenzialmente, i programmi che esistono oggi permettono di arrivare a un livello estremo di realismo. Ma bisogna fare attenzione, perché più ci si avvicina alla realtà e più lo spettatore si accorge dei difetti, se ci sono. Insomma, paradossalmente, più quello che si vede su schermo sembra vero, e più sembra finto. Pensiamo ad esempio al fallimento di Final Fantasy. Naturalmente – continua – il processo che vedete qui applicato va replicato per milioni di volte. In questo ci aiuta moltissimo il nostro reparto sviluppo che crea costantemente nuovi sistemi che ci aiutano a controllare i processi. E’ il nostro tesoro più grande, in continuo aggiornamento. Il livello di eccellenza che abbiamo raggiunto con l’ultimo film ce lo portiamo in questo, quindi andiamo sempre verso standard più alti. Funziona più o meno come nei videogiochi, di cui esistono continui aggiornamenti e versioni più avanzate, che escono di anno in anno. Chiaro che aziende come Disney e Pixar hanno alle spalle un background molto più ampio, di 20 o 30 anni. Dopodiché vendono i loro motori di sviluppo, e questo permette loro di fare due cose: finanziare le nuove ricerche e lo sviluppo di nuovi sistemi, e contemporaneamente imporre il loro standard, perché chi li acquista sarà necessariamente indietro rispetto a loro, che intanto usano le tecnologie più recenti. E’ così che funziona e per questo avere una sezione di sviluppo competente è così importante”.

Passiamo poi per il reparto ‘rigging’, deputato a rendere credibili i movimenti dei personaggi precedentemente modellati, attraverso la strutturazione di parti ‘invisibili’ come scheletro, muscoli e ossa. Da statue immobili che erano, i personaggi dopo questa fase di lavorazione diventano vere e proprie marionette, che poi gli animatori potranno utilizzare con relativa facilità. “Un aspetto del lavoro molto importante – ci spiega l’addetto Diego Viezzoli – è assicurarsi che non si verifichino compenetrazioni tra i vari poligoni nel momento in cui i personaggi si muovono. Quel che funziona su carta, attraverso giochi prospettici e altri accorgimenti tipici dei disegnatori, non sempre funziona on screen”. Dopodiché parliamo con l’animatrice Valentina D’Orsi, e finalmente vediamo ‘recitare’ i personaggi. “Anche qui – ci dice – si parte da un layout che deve essere approvato da regista e direttore artistico, e poi si può passare al refine, una versione più fluida della scena animata”. Ma ancora, per la versione definitiva, la strada è lunga.

I vestiti, ad esempio, si deformano addosso al personaggio ma non si muovono dinamicamente e in maniera autonoma come farebbero delle vere stoffe. I capelli sembrano un blocco unico e non un insieme di corpi separati, e mancano le luci. Di ognuno di questi aspetti si occupa naturalmente uno specifico reparto, e il tour continua fino ad arrivare alla fase di ricomposizione dell’immagine. Ce la spiega il CG Supervisor Gianmario Catania: “Quel che molti non sanno è che l’immagine arriva alla fase prefinale scomposta in piccoli pezzi. In questo modo è molto più facile applicare modifiche a ciascuna parte senza dover per questo alterare il resto del quadro. Siamo in grado di modificare l’illuminazione di ogni signolo panneggio, ad esempio, e questo è molto utile perché dobbiamo mantenere una coerenza anche tra scene che magari ci arrivano a mesi di distanza”.

“Inutile dire – specifica Mastrofini – che tutto ciò necessita di backup continui. E parliamo di masse importanti come 80 o 90 terabyte, per cui magari per copincollare una scena ci possono volere anche due mesi. Internalizziamo tutto. Le aziende a cui ci rivolgiamo portano da noi le loro macchine. Ci costa meno che affittarne l’uso da loro e ci fa stare più sicuri”. Diamo un’occhiata alla stanza dei server e in effetti fa impressione, tra i pc che lavorano incessantemente e una parete ricoperta da condizionatori che hanno il compito di evitare un eccessivo surriscaldamento.

Siamo alle battute conclusive, con un assaggio del prodotto finito attraverso trailer e clip in 3D. Il film sarà doppiato in italiano da Luca Argentero, Laura Chiatti e Belen Rodriguez.
Prima di salutarci, c’è modo ancora di scambiare due chiacchiere su 3D e stereoscopia: “Siamo partiti all’avventura – dice Mastrofini – quando abbiamo iniziato in Italia non c’era nemmeno uno stereografo. Più in generale, credo che la tecnologia stereoscopica sia stata applicata in maniera un po’ frettolosa, il che ha generato negli spettatori una certa diffidenza riguardo ai film in 3D. Se ne sentono tante: ‘si vedono male, costano troppo, danno fastidio agli occhi’. Tutto dipende da una buona taratura. Quel che impegna di più lo sguardo è il 3D con oggetti che vengono fuori dallo schermo e occupano gran parte del campo visivo. Calcoliamo che la distanza tra gli occhi è circa di 6.3 cm, e ovviamente varia a seconda delle dimensioni della testa di ciascuno, come della sua età. Per questo a volte i bambini, che hanno una testa piccola, ne risentono di più. Questo tipo di 3D molto esagerato va bene per i parchi a tema, dove le attrazioni durano un minuto o due, ma non per un film di due ore, dove può effettivamente dare fastidio. Bisogna regolarsi e lavorare più di profondità. Vero, però, che la moda del 3D ha portato anche molte cose buone, ad esempio ha spinto le sale ad aggiornarsi ai sistemi digitali”.

autore
20 Luglio 2012

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