Napoli oltre Gomorra


VENEZIA – Esordio al Lido per Leonardo Di Costanzo, che alla 69ma Mostra, nella sezione Orizzonti-Concorso porta il suo primo film di fiction L’Intervallo, compatto e originale, con due soli protagonisti, non professionisti, sconosciuti e giovanissimi, una sola location – l’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi, che nella finzione diventa collegio – e parlato in stretto napoletano. “Devo ringraziare Rai Cinema per aver avuto il coraggio di dirmi di sì-  racconta Carlo Cresto-Dina di tempesta, tra i principali produttori – assieme ad amka films e naturalmente anche il produttore associato Alberto Pezzotta e Luce Cinecittà “, che lo distribuisce da domani 5 settembre in 21 copie.

Il film vede un ragazzo e una ragazza confinati in un edificio abbandonato, nella Napoli opprimente dominata dalla camorra. Lei è prigioniera, lui è costretto a farle da carceriere. Man mano che le ore passano, l’iniziale ostilità diventa complicità e condivisione. In fondo, sono due vittime. Entrambi, come palesa una sequenza ambientata su una scialuppa in rovina, sulla stessa barca. E’come se giocassero a guardie e ladri, mentre fuori imperversa la criminalità. “Ma non è un film sulla camorra – spiega Di Costanzo, finora autore di apprezzati documentari – non è la storia di una gang. Proprio per questo abbiamo scelto una dimensione raccolta, interiorizzata. Il film racconta il rapporto tra i due protagonisti e soprattutto una mentalità, tradizionale, repressiva, che sta alla base non solo della camorra, ma anche di tante altre ‘zone grigie’ che con essa si devono in qualche modo rapportare. Il cittadino comune, a Napoli, come vive? Questi sono gli interrogativi che mi sono posto. Mi sono anche chiesto più volte se la vicenda fosse plausibile, ma poi ho capito che era una preoccupazione inutile. La credibilità di questa storia affonda le radici nel mito, nel rapimento delle donne, Elena di Troia, il ratto delle sabine. Non si ispira a fatti reali anche se poi la cronaca ti viene incontro. Proprio vicino a dove giravamo, hanno massacrato un ragazzo di botte davanti a noi, perché frequentava la ragazza sbagliata. Ma non accade solo a Napoli, ho sentito di fatti analoghi anche a Parigi, alla Gare du Nord. Nel film, la camorra è quasi un pretesto, la forza che tiene i due giovani fermi in quel posto. Difficile evitare i cliché, al cinema, altrimenti ti prendono alle spalle: è un continuo dialogo con archetipi e stereotipi”.

“Ma – interviene lo sceneggiatore Maurizio Braucci che aveva già lavorato su Gomorra – questo sguardo lo sento piu’ mio: non c’è solo denuncia, ma volontà di indagare le ragioni della camorra. Più riflessione che spettacolo. E non è solo camorra, quello che inquadriamo è un mondo patriarcale, di cui: la camorra è solo una delle espressioni”.

Un posto lugubre, inquietante, pieno di nefasti presagi. “Ma sono stato attento – dice ancora il regista – a lavorare di sottrazione. Il posto era troppo pieno di storia, di dolore, di sofferenza, e temevo che usarlo per ciò che era avrebbe portato la mia vicenda verso luoghi che non avrei potuto controllare. Così, abbiamo seguito la sceneggiatura e nella finzione è soltanto un vecchio collegio. Io vengo dal documentario e spontaneamente sono attento a quel che mi racconta la realtà, ma in questo caso ho voluto soprassedere. Del documentario però mi porto dietro metodo e meccanismi. Per questo, prima di girare, abbiamo lavorato tantissimo con i ragazzi in laboratorio teatrale, facendo molta attenzione a preservarne la spontaneità. Preparavamo le riprese come fossero la prima di uno spettacolo”.

E ha funzionato, dato che la prova dei due giovani Alessio Gallo e Francesca Riso colpisce per freschezza e naturalità. Fuori dal set, però, i due ragazzi sono piuttosto timidi, e suscitano simpatia in un’epoca in cui i giovani, di solito, sognano i riflettori e la celebrità ‘da reality’. “Dopo il film – dice Alessio – io torno a lavorare nella ditta di mio zio. Non tutto è camorra a Napoli dipende da che vuoi fare nella vita, che strada prendi. Ho cercato di mettere nel mio personaggio un po’ delle mie esperienze personali. Non avevo mai avuto esperienze nel cinema, era un sogno, ma ancora non ci credo”.

E poi si blocca, provocando un applauso. “Scusate – dice  -sono in emozione”. Così come la sua partner di scena, che arrossisce quando le si chiede di Veronica, il suo personaggio: “Lei è forte, io no. Nella sua situazione, mi sarei subito arresa”.

La fotografia gode dell’apporto di Luca Bigazzi, professionista applauditissimo specie dopo l’esperienza in This must be the place di Sorrentino. “Era il compagno d’avventura ideale – conclude Di Costanzo – sul set mi piace essere stupito e con Bigazzi si improvvisa sempre”.

autore
04 Settembre 2012

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