Nanni Moretti: “Il gran rifiuto tra Wojtyla e la psicoanalisi”


“Faccio un film ogni morte di Papa…”, scherza Nanni Moretti. Forse per stemperare la tensione agonistica di questa mattinata. Posti in piedi per la proiezione del suo nuovo film, con inviati da tutta Europa, Polonia compresa (del resto Papa Wojtyla è uno dei fantasmi che aleggiano). Tutti vogliono vedere Habemus Papam, che sarà in concorso a Cannes, insieme a This Must Be The Place di Paolo Sorrentino. Tutti vogliono intervistare Nanni Moretti. Eppure lui, fino a ieri pomeriggio, avrebbe preferito un gran rifiuto, e solo una manciata di ore fa ha cambiato idea. “Ho lavorato molto a questo film, ero stanchissimo, questo è il motivo principale per cui non volevo la conferenza stampa. Il secondo motivo è che preferisco evitare le interviste, perché spero che il film parli da solo. Il terzo motivo è che preferisco parlare solo del film e non di altri argomenti di attualità. Ma la scelta di tacere sembrava penalizzare chi ha meno occasione di incontrarmi”. Doverosa premessa, dopo le polemiche dei giorni scorsi. Ma il film, adesso, mette tutto a tacere. E’ un film sorprendente, che unisce surrealismo e classicità con grande leggerezza, ricco di temi morettiani – dalla psicoanalisi allo sport, dalle fughe in città alla cioccolata – ma anche meno morettiano in senso stretto, meno ombelicale. Nanni, infatti, si ritaglia il ruolo di osservatore complice, quello del professor Brezzi, lo psichiatra più bravo di tutti chiamato in Vaticano per rimediare alla crisi di un pontefice appena eletto, il cardinal Melville, che da subito rasenta il gran rifiuto di Celestino V. Mentre il Papa riottoso e un po’ infantile, che ha una segreta passione mai vissuta pienamente per il teatro (ancora un riferimento a Wojtyla) scappa a gambe levate, il professore organizza un improbabile torneo di pallavolo per i prelati che non possono sciogliere il Conclave fino all’insediamento ufficiale del pontefice. Rimedio antiansia più efficace delle gocce che molti prendono per dormire. Insomma, si entra nelle stanze segrete del Vaticano, ma senza sarcasmo, anzi con un occhio affettuoso e bonario, tanto che Habemus Papam si potrebbe forse anche leggere come una riflessione sulla vecchiaia con tanti spunti che strappano il sorriso e alleggeriscono i riferimenti alti e le citazioni, dal Gabbiano di Cechov al darwinismo.    

 

Scritto con Francesco Piccolo e Federica Pontremoli, come del resto Il Caimano, prodotto dalla Sacher con Fandango e Rai Cinema, distribuito da 01 in poco meno di 500 copie dal 15 aprile, il film è interpretato da uno straordinario Michel Piccoli, con Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile e Margherita Buy, la psicologa, ex moglie di Brezzi, che intravede nel “deficit di accudimento” la radice di tutti i mali della contemporaneità.

 

Quando gli dicono che Habemus Papam sarà in concorso a Cannes – l’annuncio è stato dato a Parigi in perfetta contemporanea – Nanni si stupisce, o finge di stupirsi, e stringe la mano a tutto il cast. “Ci sono stato tante volte a Cannes, la prima con Ecce bombo 33 anni fa. Non so cosa penseranno i francesi dell’Italia vedendo il mio film… Non aspettano certo un mio film per farsi un’idea, ci sono i telegiornali, c’è internet. Dieci anni fa ho raccontato una famiglia spezzata dalla morte di un figlio, cinque anni fa la storia di un produttore di serie B che incontra una regista esordiente che vuole fare un film su Berlusconi, oggi racconto un Papa che si sente inadeguato. Non sento il dovere di raccontare ai francesi o portoghesi cosa sta succedendo in Italia”.

 

Dello choc di diventare Papa ha parlato recentemente anche Joseph Ratzinger nel libro-intervista “Luce del mondo”. Cosa l’ha attratta in questo tema?

Siamo partiti dall’immagine di questo Papa appena eletto che urla, che non vuole affacciarsi al balcone. Volevo raccontare un personaggio fragile, che si sente inadeguato di fronte alla possibilità di esercitare un grandissimo potere, alle grandi responsabilità che gli toccano, ma raccontarlo all’interno di una commedia. Questo sentimento di inadeguatezza è un sentimento che penso provino tutti i cardinali quando vengono eletti. Certamente gli spettatori vedranno anche altro, oltre a quello che il film racconta letteralmente.

C’è qualcosa di suo anche nel personaggio del cardinale Melville oltre che in quello del professor Brezzi?

In entrambi i personaggi c’è qualcosa di me. Però da subito sapevo che non volevo fare il Papa. Ai tempi del Caimano discutemmo parecchio sul personaggio del produttore, poi affidato a Silvio Orlando, se non potessi essere io, stavolta no, neanche per un attimo. Ha un’altra età e Michel Piccoli, con i suoi silenzi, le sue espressioni, ha dato molto al film. L’ho scelto dopo un provino che abbiamo fatto a Parigi, venerdì 14 agosto. Il suo nome, Melville, invece, viene da quello del regista, gli abbiamo dedicato una retrospettiva al festival di Torino quando ero direttore. A Torino sarei rimasto ancora, mi piaceva dirigere il festival…

Come pensa che prenderanno il film in Vaticano?

Quando giro non penso a un tipo di pubblico. Non ho pensato agli psicoanalisti quando facevo La stanza del figlio, né adesso al Vaticano. Non è tra i primi 500 problemi che ho in questi giorni.

L’insostenibilità del papato per Melville è immediatamente evidente. Ma poi il film impiega quasi due ore per mostrarcela. 

Sì, perché volevo fare un lungometraggio… mostrare anche tutto il resto, il torneo di pallavolo, il deficit di accudimento… Melville non doveva abbandonare subito, doveva andare in giro per Roma, prendere l’autobus, andare a teatro. Alla fine sembra si sia sbloccato qualcosa in lui e quando parla ai fedeli dice delle cose importanti…

E’ sbagliato pensare a Giovanni Paolo II, il papa polacco a cui il film sembra fare spesso riferimento?

Chi vuole vederlo non sbaglia. Anche le immagini di repertorio nei titoli di testa sono quelle del vero funerale di Giovanni Paolo che abbiamo preso dalla Lux Vide. Però non ci siamo fatti travolgere dai riferimenti e dall’attualità. Anche quando, l’anno scorso, i giornali parlavano di vari scandali che riguardavano la Chiesa cattolica, ho preferito evitare riferimenti concreti.

Consiglierebbe a qualcuno in particolare di riflettere sul peso delle sue responsabilità pubbliche?

Lo consiglierei a ognuno di noi, se non diventa una cosa autodistruttiva. Nel mio caso, per esempio, il senso critico può aiutare a fare film migliori, a patto che non diventi paralizzante. Io al cinema vado a vedere quasi tutto, anche i film di confezione. Ma poi ci sono scelte di regia che ho visto duemila volte. Io ho cercato di fare un film diverso dal già visto.

Melville, alla fine, parla di una Chiesa che ha bisogno di una guida che porti grandi cambiamenti. Condivide questa visione rispetto al papato attuale?

Diciamo che la folla di fedeli in Piazza San Pietro, nel film, applaude con forza a quelle parole di Michel Piccoli.

Vi siete documentati sul funzionamento del Conclave, dove nessun estraneo è ammesso?

Ci siamo informati sui rituali, abbiamo avuto scrupoli da pazzi su tanti dettagli, abbiamo cercato di rispettare la cornice, ma senza usare consulenti. Abbiamo solo letto qualche libro e visto qualche documentario. Un anno e mezzo fa abbiamo fatto leggere la sceneggiatura a Ravasi, ma se non gli fosse piaciuta non sarebbe stato un problema.

 

Spera che Ratzinger vada il film?

Lo vedrà, se vuole.

 

autore
14 Aprile 2011

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