Dati lusinghieri, per il 26° Torino Film Festival. Con una crescita del 40% degli accreditati, un +15% nelle vendite di biglietti e abbonamenti e incassi sui 168mila € (l’anno scorso furono 134mila) fino al 28 novembre. Per Moretti è una festa la conferenza stampa di chiusura, affollatissima, che si svolge al Circolo dei lettori. Scherza, gioca e fa le smorfie, in attesa della premiazione, stasera al Cinema Massimo. Intanto già dai premi minori arriva qualche indicazione sulle tendenze. Ci sono titoli che ritornano, e che potremmo ritrovare nel palmarès ufficiale: Signori professori di Maura Delpero, Di madre in figlia di Andrea Zambelli che si è aggiudicato il Premio Maurizio Collino dopo aver entusiasmato il festival con l’irruzione delle mondine sulla scena. Ma la domanda clou è solo una: Nanni resterà alla testa del festival anche l’anno prossimo? Su questo il cineasta romano rimanda la palla ai vertici del Museo del Cinema. “Con Casazza e Barbera parleramo del futuro la prossima settimana”, ripete. E poi sul budget, 3 mln €. “I soldi, se arrivano, sono sufficienti per fare il festival”.
Bilancio estremamente positivo.
Sì, sono molto contento. L’anno scorso è andata bene, quest’anno ancora meglio. Mi sembra che questo festival non abbia mai perso la sua individualità e il suo successo si deve anche al fatto che c’era già da molti anni. Poi le amministrazioni pubbliche coinvolte – Regione, Provincia e Comune – non ci hanno mai fatto richieste o pressioni, e questo non è affatto la norma, anche se dovrebbe essere sottinteso, e lo dico da cittadino.
Come ne esce il cinema italiano?
L’ex polemica sull’assenza del cinema italiano in concorso la considero chiusa. Stasera annunceremo i premi ai corti e ai documentari e vedrete che ci saranno film che cominceranno da qui il loro cammino, come l’anno scorso Beautiful Country. Ci sono lavori su temi di cui si parla molto: Armando e la politica, Signori professori. Ci sono registi noti come Daniele Gaglianone e Vincenzo Marra che hanno fatto dei documentari. Questo è il cinema italiano.
Ha trascurato il suo lavoro di regista per concentrarsi sul festival. Pensa di poter conciliare le due cose in futuro?
In questi due anni non solo non ho girato film ma anche la Sacher Film è stata un po’ bloccata… Il nuovo film per ora è un soggettino…
Girerebbe a Torino?
Quando in un film c’è Torino, viene girato a Torino. Quando in un film c’è San Pietroburgo o Vienna o Mosca, viene girato a Torino… La Film Commission Piemonte prima non aveva concorrenti, adesso c’è anche il Friuli o la Puglia.
Perché ha accettato di dirigere il festival?
Due anni fa molti hanno pensato che avessi accettato per megalomania e narcisismo, invece volevo dare una mano a un festival a cui sono affezionato e che non volevo finisse nei regolamenti di conti. Volevo che continuasse a vivere nonostante la Festa di Roma. Poi volevo dare una mano anche al cinema italiano e al cinema in Italia, che è fatto di festival, di trasmissioni tv che non ci sono, di film belli che non vengono distribuiti, di registi di corti che sperano di esordire nel lungometraggio, di registi di documentari che non trovano molta attenzione.
Farebbe una retrospettiva su un autore italiano oppure una retrospettiva a tema, per esempio sugli anni ’70 di cui si è parlato molto in questa edizione?
Tra i registi a cui abbiamo pensato per una retrospettiva c’è anche un italiano, ma poi ci siamo resi conto che era già stato oggetto di un omaggio in un festival piccolo. Comunque l’attenzione agli esordi, con “L’amore degli inizi”, è un’attenzione al cinema da cui veniamo.
Non ha proprio nessun rimpianto, neanche piccolo?
La neve, che poteva arrivare l’ultimo giorno. C’è stato un misunderstanding con il principale. Insomma, il festival a me è piaciuto tanto, però ho letto poco i giornali.
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