Adesso che il film è finito, Nanni Moretti racconta con generosità l’esperienza totalizzante di La stanza del figlio: “Per tre anni mi sono dedicato solo a questo. E’ un film a cui penso da molto tempo, addirittura prima di Caro diario, poi è arrivato mio figlio Pietro così ho posticipato l’appuntamento con le sceneggiatrici, Linda Ferri e Heidrun Schleef”.
Si è circondato di collaboratrici, Nanni, per raccontare questo scavo nel dolore, per affrontare l’autopsia del lutto di una famiglia serena – padre psicoanalista, madre editrice, due ragazzi adolescenti – che precipita nella tragedia insostenibile della morte di un figlio. Due donne alla scrittura, una donna operatrice, una montatrice, Esmeralda Calabria, e l’apporto sul set di una vecchia amica come Laura Morante.
E ora che il film è partorito, consegnato finalmente al pubblico – nei cinema da venerdì 9 marzo in 70 copie – lui stesso confessa di essere tuttora impregnato del dolore del suo straziato personaggio, del suo ossessivo tentativo di fermare il tempo, di tornare al “prima”, di poter controllare l’irreversibilità degli eventi e del destino.
Un film, dici, che non riuscirai a dimenticare troppo presto
E’ un film che mi accompagna da molti anni. Volevo raccontare e interpretare uno psicoanalista senza volgarità e senza spettacolarizzazioni. La vita, il lavoro e le sue reazioni di fronte ad un evento tanto terribile. E’ scattata una identificazione totale tra me e lui. Per concentrarmi sulle riprese ho interrotto anche il festival dei cortometraggi. L’unica trasgressione che mi sono concesso è stata la rassegna “W l’Italia!” che ho organizzato la scorsa estate al Sacher. E so che sarà difficile lasciarmi alle spalle questa esperienza, trovare energie per buttarmi in un altro progetto, tant’è che il mio prossimo impegno sarà di produrre 8 documentari non miei.
Avete girato ad Ancona: com’è stato il set?
Da sempre ho immaginato questa storia in una piccola città di mare e Ancora era perfetta. Abbiamo avuto diverse interruzioni, per lo sciopero dei lavoratori del cinema, per Natale, ma ho girato più o meno in sequenza, prima la prima parte e poi il seguito. Però, dalla scena dell’ospedale in poi il dolore del film mi ha pervaso. Per questo film sono stato molto lento, più lento del solito. Anche il montaggio, che è una fase meno faticosa e angosciante delle riprese, mi ha tenuto impegnato a lungo. Diciamo che cerco di fare bene il mio lavoro, guardo sempre i giornalieri, ho rifatto le scene iniziali dei pazienti per problemi di panfocus, e a settembre sono tornato ad Ancona per girare ancora qualche cosetta.
Perché tanto assoluto silenzio prima dell’uscita?
Alcuni pensano che lo faccio apposta, parlano di strategia promozionale! Io comincio a lavorare e siccome niente mi viene bene al primo colpo non mi piace parlare delle mie intenzioni. Mettendomi poi nei panni dello spettatore, non amo sapere di cosa parla, perché e come va a finire il film che sto per andare a vedere. Certo, quando tempo fa ho letto sulla stampa che si trattava di un film sulla mia famiglia, con tanto di cane terranova, con Orlando e Dionisi medici e di un figlio che moriva di leucemia mi è venuto da sorridere.
Caterina Caselli, Brian Eno, la musica di Piovani: come scegli le colonne sonore dei tuoi film?
Non mi ero reso conto che il brano della Caselli era un’autocitazione (da La messa è finita, ndr) e sapevo sin dalla fase di scrittura che la canzone di Brian Eno, By this river sarebbe stato il regalo che voglio fare a mio figlio morto. Piovani non sapeva nulla del film, non gli avevo detto nemmeno di cosa parlava: gli ho mostrato una copia, lui è rimasto impietrito sulla poltrona, poi ha cominciato a lavorare.
Com’è stato tornare a lavorare con Laura Morante vent’anni dopo “Sogni d’oro”?
L’ho trovata più bella, più brava e più convinta, meno dispiaciuta di fare questo mestiere. I ragazzi sono stati scelti tra i 4000 studenti che si sono sottoposti ai provini. E gli altri sono come al solito persone con cui sto bene nella vita e con cui mi piace condividere il mio lavoro.
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