Stanco, un po’ teso, preoccupato dalla politica più che dal cinema, ecco Nanni Moretti a Cannes. La stanza del figlio è tra i vincitori possibili. E non solo secondo la stampa italiana, sospetta di sciovinismo. Interviste, copertine, intere pagine: l’informazione locale, specializzata e no, è tutta per lui. Il film esce venerdì in Francia, in 80 copie, in quasi contemporanea col festival (è gia’ accaduto con Aprile e Caro diario) a dimostrazione che il mercato apprezza. Ma Moretti non piace solo agli estimatori d’oltralpe, vende bene ovunque, Giappone, Sudamerica, Spagna. E vende bene anche con questa opera così aspra e dolorosa.
Moretti politico, si diceva. Infatti metà dell’intervista serve all’analisi del voto. L’autore della Cosa ce l’ha soprattutto con Bertinotti. “Berlusconi perde tempo a ringraziare milioni di persone, gli basterebbe ringraziare Fausto, che ha provocato questa sconfitta, etica oltre che politica, col suo comportamento e che oggi è addirittura trionfante”. Riportarlo a questa vigilia di concorso non è semplicissimo. Anche se, dice, “il vittimismo non fa parte di me né del mio modo di lavorare”.
Ti senti favorito, come dicono?
Ci sono altri ventidue film. Come faccio a essere il favorito? I giornalisti italiani sono un po’ provinciali, per parlare bisognerebbe aver visto tutte le opere del concorso.
Ne vedrai qualcuna?
Purtroppo no. Sono arrivato oggi a mezzogiorno e ho un’intervista dietro l’altra, venerdì sera riparto. E’ stato bello, quattro anni fa, essere in giuria con persone come Mira Sorvino, Tim Burton, Gong Li, lo scrittore Paul Auster innamorato di se stesso… e vedere tutti i film.
Tra gli autori in competizione qual è il tuo preferito?
Makhmalbaf mi piace molto, ho distribuito io Pane e fiore.
E Imamura? Gli hai dato la Palma…
Gliene ho tolta meta’! Adesso si può dire: guidavo un gruppo di cinque giurati a favore del Sapore della ciliegia, Mike Leigh guidava gli altri cinque.
Hai visto il film di Olmi?
Sì e lo considero uno dei suoi più belli, mi piace anche la sua distanza dall’ambiente del cinema.
Due italiani in concorso: per noi è un segno di rinascita?
Mi piace che Cannes faccia le sue scelte in piena libertà. Alla Quinzaine, per esempio, c’è Gaglianone: un esordiente con un produttore indipendente come Arcopinto. L’anno in cui ero in giuria chiesi a Jacob perché non aveva preso Le acrobate di Soldini, lui giustamente si limitò ad alzare le spalle.
Condividi l’impressione che il nostro cinema sia in ripresa?
E’ un dato oggettivo, se parliamo di rapporto col pubblico. Pane e tulipani è andato benissimo eppure Soldini è un autore difficile, che ora infatti sta lavorando su un progetto completamente diverso e non facile; vanno bene Muccino, Ozpetek, I cento passi… Solitamente questi successi erano riservati ai film di Natale. Anch’io ho cambiato atteggiamento verso il cinema italiano, anche se non ho cambiato i miei gusti.
Speri di vincere?
Non mi dispiacerebbe. Come a tutti quelli che sono qui. Ma non scrivete, come ha fatto un giornale francese, che voglio vincere.
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