SIRACUSA – Nelle calde notti del 16° Ortigia Film Festival, Nadia Tereszkiewicz rappresenta il più prestigioso ospite internazionale. L’attrice franco-finlandese vincitrice del Premio César 2023 alla migliore promessa femminile per il suo ruolo in Forever Young di Valeria Bruni Tedeschi, accompagna il suo ultimo film da protagonista, Rosalie, dramma storico ispirato alla storia vera di una donna barbuta vissuta a cavallo del XIX secolo in Bretagna.
Diretto da Stéphanie Di Giusto il film riesce a mettere in scena con efficacia la vicenda tragica ma ispirazionale di una donna che fa i conti con la sua identità e che affronta con coraggio stereotipi che ancora oggi, oltre un secolo di distanza, facciamo fatica a cancellare. Con la sua florida barba – che richiedeva oltre quattro ore di trucco ogni giorno – la 28enne Nadia Tereszkiewicz è indubbiamente il perno attorno a cui ruota tutta la trama, dimostrando ancora una volta tutto il suo talento.
Nadia, parli un italiano molto fluente. Come lo hai imparato? Cosa provi a presentare Rosalie qui a Ortigia?
Mi sono sempre sentita legata all’Italia. Amo la cultura, ho sempre letto in italiano, la mia scuola era per metà italiana e avevo tanti amici che parlavano la lingua. Inoltre adesso sto preparando un film in Italia, il film di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, i registi di Re Granchio. Sono contenta di essere in Italia per scoprire il vostro cinema e sono ancora più contenta che Rosalie sia stato scelto per la selezione Cinema Women di Ortigia. È un film importante per il cinema delle donne. È un film sulla libertà di essere sé stesse: ci fa ragionare su quali siano i desideri di una donna, sulla femminilità, sulla bellezza.
Cosa puoi dirci del tuo prossimo film?
Posso solo dire che è un western, un ruolo bellissimo in cui reciterò in Italiano. Ho amato molto Re Granchio, ho subito pensato che avrei voluto lavorare con loro e sono felice che mi abbiano offerto il ruolo principale. Le riprese iniziano a settembre a Roma.
Sono passati otto anni, dal tuo esordio come attrice. Anche allora ti dirigeva Stéphanie Di Giusto. In che modo sei cambiata, come donna e come attrice?
Io non ero un’attrice a quei tempi. Era il mio primo ruolo, non avevo fatto nessuna esperienza, né una scuola. Ho imparato tanto in quei 15 giorni sul set. In questi anni sono cresciuta grazie al cinema, mi ha permesso di diventare tante donne diverse, una possibilità che non avrei mai creduto di avere, perché ero molto chiusa nel mio percorso di danza. Sul set di Io danzerò ero poco più che una bambina. Quando Stephanie mi ha proposto il ruolo di Rosalie era il momento giusto per me per scoprire cosa è la femminilità, scoprire perché sto male o no. Ero pronta a essere un po’ disturbata.
Parlando ancora di registe donne. Con il suo Forever Young – Les Amandiers Valeria Bruni Tedeschi ti ha permesso di vincere un premio importantissimo. Cosa hai imparato condividendo il set con lei?
Lei ha cambiato la mia vita emozionale e il mio rapporto con il lavoro. Mi ha dato la necessità di recitare. Non si può farlo senza qualcosa che viene dalla pancia, dal cuore. Ogni ruolo è una responsabilità. Mi ha dato la voglia di recitare veramente. Mi diceva: devi volere essere ridicola e meravigliosa. E ancora: non devi avere 38 di febbre, ma 42. Vuol dire avere intensità.
Un’intensità che si vedono in molte scene di questo nuovo film. Come sei entrata nel ruolo di Rosalie?
All’inizio mi vergognavo un po’, anche perché non lo avevo preparato prima. Ho dovuto lavorare su questa vergogna, combatterla, iniziare a sentirmi meglio e, infine, essere fiera. Il mio percorso è stato simile a quello del personaggio, perché abbiamo girato in ordine cronologico. All’inizio era molto difficile: ha interrogato la mia femminilità. Alla fine andavo a mangiare con la barba, l’avevo completamente dimenticata.
Ti sei data una risposta su cosa vuol dire essere davvero una donna? Oggi come nel passato.
Perché questa donna non può esserlo davvero? Perché deve continuamente provarlo? Sono tante cose che ci rendono donne e di certo non è la mancanza di una barba. Lei a un certo punto si sente se stessa, si sente veramente donna solo quando ha la barba. Capisce che i desideri che ha sono reali, all’inizio erano solo quelli che la società le aveva imposto: avere un bambino, un marito. La barba le permette di avere desideri sessuali, di innamorarsi.
So che la regista ti ha impedito di conoscere Benoît Magimel, che interpreta tuo marito nel film. Avete lavorato come due sconosciuti, proprio come accade nel film. Penso che sia stata una grande idea. Ad esempio, la scena in cui scopre i tuoi peli durante la prima notte di nozze, è davvero intensa. Cosa hai provato nel girarla?
All’inizio è stato orribile. Questa scena è stata la prima, ha inaugurato il nostro lavoro assieme. Non lo avevo mai incontrato, avevamo parlato due volte e avevo paura della sua reazione. Anche perché non aveva ancora visto niente dei peli che avevo sul corpo. Quando sono entrata in scena lui aveva uno sguardo che mi ha cambiata, lui ha un modo di creare il presente. Qualcosa di vero. La scena era scritta in tre righe, e lui l’ha fatta durare un sacco. Non sapevo cosa fare e ho provato delle emozioni che non sapevo come controllare. E questo è bello, è il piacere di essere attore: essere sorpresi, provare emozioni nuove. Ho pianto dieci minuti dopo la scena e prima di entrare avevo le mani che mi tremavano. Avevo paura di entrare, ero in ansia, normalmente non è così. Era tutto vero, anche la complicità che abbiamo costruito è nata dal fatto di esserci incontrati e conosciuti. Ora non ci parliamo più così tanto, non siamo amici, ma l’ultima volta l’ho incontrato e ci siamo guardati consapevoli di avere condiviso qualcosa di speciale. È stata una cosa misteriosa, gli voglio molto bene.
Rosalie è una collezione di scene difficili. Quale è stata la più impegnativa?
C’è la scena in cui Benoît mi dice che non sono una donna: è stato molto difficile sentirselo dire. Me lo ha detto in un modo in cui non ho potuto non credergli. Ricordo di avere pianto anche se non era previsto nella scena. È stato molto più difficile della scena del litigio. Le parole fanno più male della violenza fisica.
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