So di cosa parlo. Maschi trentenni come Stefano Accorsi nel film di Muccino ne esistono a schiere. Ne ho conosciuti diversi. Io stesso, per ragioni anagrafico-esistenziali, ritengo di farne parte.
La maggior parte di noi del 1970, però, non indossa raffinate camicie Armani, non gira in Volvo, né è in grado di acquistare una villa da 900 milioni per soddisfare l’ambizione della propria compagna. La maggior parte di noi non lavora alla Saatchi & Saatchi, non intrallazza con diciottenni. E infine, grazie al cielo, la maggior parte di noi non ha mai visto la propria donna brandire una lama di cucina.
Questa però è la confezione dorata, il «tu vuo’ fa’ l’americano» dello scaltro Muccino: soffermarci su questi particolari sarebbe ingeneroso verso gli sforzi di questo giovane e intraprendente cineasta. È pur vero che la maggior parte di noi non dispone di questi accessori – senza per questo aver mai preso realmente le distanze dall’idea che ci renderebbero felici. A dirla tutta, la maggior parte di noi del 1970 va pazza per i completi Armani e le auto costose, e pensa a chi lavora in pubblicità con ingenuità anni ’80. Prima di Massimiliano Sossella e del suo romanzo La scena è la stessa, per intenderci. Ma soprattutto, la maggioranza di noi cadrebbe inerme sotto i piedi di una diciottenne sexy. Da che mondo è mondo, sarebbe la diciottenne ad essere cooptata nel nostro mondo di trentenni e probabilmente non ci inseguirebbe, romantica e siddhartiana, al momento degli addii.
L’Accorsi che saggia gradualmente il suo percorso nascondendosi dietro il mignolo della sindrome dell’eterna adolescenza non è che un campione del maschio adulto di oggi. È uno di noi realizzato.
Le sue debolezze? Solo sussulti di una stagione della vita che tarda a finire. “C’è stato solo un bacio”, urla stridulo alla sua energica e fragilissima compagna quando viene smascherato. Ed è vero: fino a quel momento c’è stato solo un bacio (forse il gesto più intimo, e dunque più imperdonabile). Di più, non avrebbe saputo fare, il trentenne del 2000, stretto tra l’indecisione e un’ecografia.
Ma quando quel bacio non gli viene concesso scatta in lui una forma di infantile orgoglio. “L’hai voluto tu!”, urla alla Mezzogiorno, e torna dall’amante bambina per completare con una trombata il suo percorso iniziatico verso l’età adulta. E correndo poi, ansioso, e reticente, a ricomporre i frammenti della relazione decisiva della sua vita.
Qualcuno mi risponderà che sono in errore, che l’Accorsi dell’Ultimo bacio non somiglia a noi veri maschi del 1970. Né ci somigliano i suoi amici, che la Fuga la attuano davvero (ma neanche tanto, dato che il più implicato di loro «taglia tutti i ponti alle spalle» dopo aver ottenuto l’aspettativa!). Perché Accorsi non ha reale spessore umano. Non ha alcun ideale. Perché è di un individualismo ributtante. Perché chiama sua figlia Sveva. Perché in definitiva è un personaggio di plastica.
Oddio! Avanti di questo passo finirò col credere che lui è quello vero, e noi gli emuli imperfetti.
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