Una relazione extraconiugale come detonatore di un conflitto politico insanabile. Sarah & Saleem Là dove nulla è possibile parte con la passione fisica tra un uomo e una donna per coinvolgere un contesto in cui qualsiasi gesto può essere interpretato come alto tradimento. Vincitore di premi internazionali tra cui il Premio del Pubblico Huber Bals e il Premio Speciale della Giuria al Festival di Rotterdam, il film viene distribuito in Italia dalla coraggiosa società di Claudia Bedogni, la Satine, a partire dal 24 aprile. Il regista palestinese Muayad Alayan, che lavora insieme a suo fratello Rami Alayam in veste di sceneggiatore e produttore, ha scelto una linea di realismo nel mostrarci le conseguenze del rapporto tra l’israeliana Sarah (Silvane Kretchner) e che gestisce un bar a Gerusalemme Ovest ed è sposata con un colonnello dell’esercito (Ishai Golan) e il palestinese Saleem (Adeeb Safadi), che sbarca il lunario facendo consegne col suo furgone, mentre la moglie Bisan (Maisa Abd Elhadi) sta per dare alla luce un figlio. Quando Sarah e Saleem, durante una serata in un pub di Betlemme, vengono denunciati ai servizi palestinesi si innesca una spirale di equivoci, bugie e mezze verità che portano all’arresto di Saleem da parte dell’esercito israeliano: ora le autorità ricercano anche la misteriosa ebrea che era con lui e che gli avrebbe passato informazioni riservate.
Abbiamo intervistato il regista, già autore di Love, Theft and Other Entanglements e ora al lavoro su un dramma familiare dalle tinte parapsicologiche con una 12enne ebrea che da New York torna a Gerusalemme, dopo la morte della madre, e va a vivere in una casa infestata dal fantasma di una coetanea palestinese.
Si è ispirato a una storia vera per Sarah & Saleem?
Ci sono due episodi reali che mi hanno ispirato. Da adolescente, cresciuto a Gerusalemme Est, ho iniziato a lavorare, come quasi tutti i palestinesi, a Gerusalemme Ovest in un bar e poi in un albergo, e ho visto tante relazioni clandestine di questo tipo tra ebrei e arabi. Queste coppie rischiavano molto, in qualsiasi momento poteva accadere qualche disastro. L’altro episodio riguarda l’invasione della Cisgiordania, durante la seconda Intifada: molti documenti palestinesi vennero confiscati dall’esercito israeliano. Si trattava di documenti di tutti i tipi, dalle pagelle scolastiche a informazioni su associazioni non governative. Sulla base di questi venivano arrestate moltissime persone magari solo perché lavoravano per l’autorità palestinese, cosa che per la legge israeliana è illegale. Ma tra questi dati c’erano tante cose false, denunce fatte per vendetta. Allora mi sono chiesto: cosa succederebbe se una coppia si trovasse in quella situazione? Così è partito il gioco delle ipotesi.
Il tradimento coniugale diventa alto tradimento attraverso un castello di supposizioni.
Questo adulterio esprime in modo profondo quello che è la vita a Gerusalemme. Una relazione del genere, in qualsiasi altro luogo, non avrebbe questo genere di conseguenze. Ma chi vive a Gerusalemme, sperimenta un sistema di segregazione, dove c’è una comunità più privilegiata e una che non lo è affatto. A prescindere dalle barriere fisiche ci sono tante barriere che non si vedono.
L’amore tra Sarah e Saleem non è mai dichiarato, anzi sempre negato.
La storia tra Sarah e Saleem è raccontata in modo realistico. Chi vive a Gerusalemme sa che una storia del genere non potrà mai diventare qualcosa di più, sarà sempre clandestina, senza futuro. In questo c’è anche una certa convenienza perché nessuno deve sapere né mai saprà di tale relazione.
Lei all’inizio si concentra sui due adulteri, poi sposta l’attenzione sui rispettivi partner e infine dà spazio alle due donne che hanno la possibilità di sovvertire le regole.
Volevo che i quattro personaggi fossero tutti sviluppati. All’inizio è normale seguire Sarah e Saleem, poi sono i partner a venire in luce quando scoprono ciò che sta succedendo. Infine ci sono i due personaggi femminili che intraprendono il maggiore cambiamento, sia in loro stesse che rispetto al contesto sociale. Entrambe reagiscono in modo inatteso. Incarnano la speranza perché l’unica speranza è che le persone seguano la propria umanità.
Gerusalemme è un po’ il quinto personaggio del film.
Sì, a tanti livelli. Gerusalemme Ovest è una città come tutte le altre grandi città occidentali, mentre Gerusalemme Est è una specie di ghetto, con un alto tasso di povertà e disoccupazione. Saleem ha tantissimi problemi economici come la maggior parte delle persone che vivono lì, mentre Sarah appartiene alla classe media e benestante. Abbiamo usato una illuminazione diversa per descrivere le due realtà, perché è proprio così che stanno le cose, ci sono due aziende elettriche distinte. Le differenze si vedono in tutto e il razzismo esplode in una frazione di secondo, anche in persone aperte e progressiste.
Lei descrive coraggiosamente anche l’intelligence palestinese, con i suoi metodi poco ortodossi, come tutti i servizi segreti del mondo, ma anche il travaso di informazioni verso gli israeliani. Ha avuto problemi a raccontare queste cose?
In Palestina non abbiamo la censura, il governo ha già abbastanza problemi. Comunque se vogliono bloccare un progetto ci riescono. In questo caso abbiamo ottenuto tutti i permessi e ci hanno dato una mano per girare a Betlemme, abbiamo usato la vecchia prigione del periodo britannico per alcune scene. I sistemi di spionaggio sono uguali dappertutto, l’abuso, la manipolazione, le informazioni estorte sono all’ordine del giorno. Ed è vero che i servizi palestinesi lavorano in parallelo con i servizi israeliani e si passano i rapporti: questo avviene da una decina d’anni, su ordine della Cia.
Ma le riprese del film hanno comportato anche altre difficoltà.
È difficile fare un film, specie un film indipendente, in qualsiasi parte del mondo. Ma in Palestina è cento volte più difficile. Avevamo vari piani di lavorazione a seconda delle zone: Gerusalemme Est, Gerusalemme Ovest, l’area A, la B e la C. In pratica però non sapevi mai cosa aspettarti. A Gerusalemme Ovest abbiamo girato con una piccola troupe fingendo di fare un documentario, ma l’attrice israeliana è stata attaccata verbalmente da varie persone. Mentre l’attrice araba che indossava il velo è stata insultata per strada. Qualcuno ha anche chiamato la polizia. Quando abbiamo girato la scena dell’arresto, a Betlemme, con tutti i permessi dell’Autorità palestinese in regola, alla fine sono arrivati i militari israeliani e non volevano crederci. Hanno portato me e lo scenografo in una base militare e ci hanno interrogato per quattro o cinque ore.
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