Morire a 15 anni, prima della prima volta


E’ un film onesto The Be All and End All, pellicola di Bruce Webb già in concorso ad Alice nella città e oggi in concorso al Monte Carlo film festival. Senza sconti o facile lieto fine affronta una delle paure della nostra società: la malattia che colpisce, d’improvviso e senza scampo, un ragazzo fino a quel momento preso solo da emozioni e piccole trasgressioni della sua adolescenza. La sua esistenza ne viene inevitabilmente sconvolta, così come quella di tutte le persone che gli sono accanto. Ma nella drammaticità del tema toccato The Be All and End All parla, con toni da commedia, di quello che è il vero dramma dal punto di vista del ragazzo protagonista: non tanto la paura di morire in sé, ma il pensiero di morire vergine. Perché, come dicono all’unisono i due attori protagonisti, Eugene Byrne e Josh Bolt, durante l’adolescenza “il sesso è semplicemente tutto”.

E il realtà, secondo Josh, quattordicenne che nel film interpreta Robbie, il ragazzo che si ammala, il pensiero del sesso per chi ancora non l’ha provato, è un po’ come quello della morte: il non sapere come sarà, lo rende al tempo stesso tremendamente affascinante e spaventoso.

Ma The Be All and End All è soprattutto una storia di amicizia, sentimento che durante l’adolescenza è tanto intenso da creare legami più forti di quelli familiari. “Gli amici li scegli, la famiglia no”, dicono i due attori che sarebbero pronti a fare qualsiasi cosa per i loro amici reali. “Nel mio gruppo ci chiamiamo tra noi fratelli, e io li considero proprio così”, dice Eugene, nel film l’amico Ziggy che tenta in ogni modo di procurare a Robbie la tanto sospirata prima volta. Tentativi che inesorabilmente lo fanno finire in un mare di guai: a scuola viene picchiato dalle ragazze offese dalla proposta oscena, viene arrestato dalla polizia per istigazione alla prostituzione e, ad un certo punto, deve addirittura salvare Robbie durante una retata della polizia. Ma che importa: “chi non lo farebbe per il suo migliore amico”?

Per il diciassettenne Eugene Byrne, qui al suo primo ruolo da protagonista, questa non è una storia come un’altra. E’ anche la sua e quella del suo amico morto da poco. “Quando ero sul set sentivo davvero ogni cosa. La morte del mio amico è stata l’esperienza più dura che abbia mai provato. E’ come se ti si strappasse via il cuore”. E nella scena del funerale ha rivissuto quel dolore che aveva già visto nello sguardo di un genitore che perde un figlio. “La sofferenza rimane tutta impressa negli occhi, basterebbe decifrare solo quello sguardo per capire ogni cosa”.

C’è anche un altro tema che viene sfiorato nel film: quello della crisi dei rapporti e della nascita di nuove strutture familiari, spesso portate avanti da un solo genitore. Ziggy vive con la madre, che lo ama e probabilmente vuole impedirgli di soffrire. E così gli tiene nascosta l’esistenza del padre, che vive in un cittadina vicina e una volta all’anno s’interessa a lui, mandando gli auguri per il compleanno. “Ma questo non è giusto”, dice Eugene, “spettava solo a lui decidere che rapporto avere col padre, indipendentemente da come fosse. E poi, credo, un ragazzo non può diventare uomo senza una figura maschile vicino. L’amore della madre non può bastare”.

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25 Novembre 2009

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