PESARO. “Il mio prossimo progetto? Sto scrivendo e lo girerò il prossimo anno, al centro della storia c’è un personaggio femminile, ma non voglio aggiungere altro”. Così Nanni Moretti durante l’incontro tenutosi al Teatro Sperimentale, in occasione dell’Evento Speciale che la Mostra gli ha dedicato quest’anno. iI regista di Habemus Papam, reduce dalla presidenza della giuria del Festival di Cannes, ha ripercorso tutta la sua carriera, riflettendo sui suoi film e sulla sua attività di operatore culturale. Incalzato dalle domande del critico Bruno Torri e di Vito Zagarrio, curatore della retrospettiva, Moretti ha iniziato parlando delle sue passioni cinematografiche: “Sono molto legato al cinema degli anni ’60, i film di quel periodo riflettevano contemporaneamente sul cinema e sulla realtà, rifiutando l’eredità dei loro padri”. Il suo amore per la settima arte però è arrivato tardi. “Ho iniziato a frequentare assiduamente le sale a 15 anni, il pomeriggio andavo al cinema Farnese o al Nuovo Olimpia e poi la sera al Foro Italico a giocare a pallanuoto”.
E proprio questo sport, così come accadeva in Palombella rossa, viene riproposto da Moretti come termine di paragone, in questo caso per parlare dello stile dei suoi primi lavori. “Quando giocavo a pallanuoto, mi ero specializzato nelle palombelle, facevo di necessità virtù perché non ero forte fisicamente. Allo stesso modo, ho fatto di necessità virtù quando ho iniziato a girare in super8 e sapevo di non poter disporre di grandi mezzi: non avevo dolly, gru o carrelli, così nei miei primi film la macchina da presa era spesso ferma e facevo muovere gli attori”.
Sulla direzione degli interpreti aggiunge, “come regista e come spettatore preferisco quegli attori che non si annullano totalmente nel personaggio. Il pubblico non si deve mai dimenticare che stanno recitando, perché in un film non si assiste alla realtà ma a un artificio, a un punto di vista”.
Poi Moretti comincia a spiegare più approfonditamente il suo cinema. “Ho voluto quasi sempre raccontare il mio ambiente politico, sociale, generazionale, e l’ho sempre fatto con ironia, prendendomi in giro”. E aggiunge: “Agli inizi come spettatore e poi come autore non mi interessava molto l’intreccio, il plot”. Il cambio di rotta è arrivato nell’81, “quando vidi La signora della porta accanto di Truffaut, mi emozionai molto. Da quel momento ho cercato di dare più importanza alla sceneggiatura: così come iniziavo ad emozionarmi da spettatore, volevo emozionarmi da regista e con Bianca è iniziata una nuova fase della mia carriera”.
La discussione entra nel vivo e il regista di Caro diario spazia da un argomento all’altro: dalla politica – “è entrata meno di quanto si pensi nei miei film e ai girotondi partecipavo come cittadino, non come regista” – alla Francia – “lì mi hanno adottato anche se mi hanno bacchettato per non aver premiato film francesi all’ultimo Cannes – passando per la critica, “fortunatamente i miei film sono sempre stati accolti bene”.
Ma le sue parole si fanno più sentite quando racconta la sua attività di produttore e distributore. “Da sempre in Italia gli esordienti realizzano i loro primi film tra mille difficoltà. Io e Angelo Barbagallo, dall’86 in poi, abbiamo cercato di produrre opere prime, offrendo ai registi mezzi importanti. Abbiamo fatto esordire Luchetti, Mazzacurati, Calopresti. Come produttore mi sono posto nei loro confronti sempre con uno sguardo da spettatore, mai da regista. Mi interessava capire la loro strada e aiutarli il più possibile a crearsi una loro personalità”.
In chiusura Moretti risponde all’immancabile domanda sui premi assegnati a Cannes un mese fa: “Nessuna decisione è stata presa all’unanimità. Jean Louis Trintignant e Emmanuelle Riva non potevano essere premiati perché un riconoscimento a loro era incompatibile per regolamento con la Palma d’oro al film Haneke. Per quanto riguarda i film americani, li ho trovati molto deludenti”.
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