In principio c’è Brot und Tulpen. Comincia così, con la favola romantica di Silvio Soldini, la piccola rinascita italiana in Germania. Ce la raccontano i distributori, oltre sessanta, che Italia Cinema e l’Istituto per il commercio estero di Berlino diretto da Sandro Fermani, hanno invitato a una proiezione più dibattito in un cinema ipertecnologico di Potsdamer Platz. I distributori hanno aderito in massa per vedere Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca, un film che avrebbe tutte le carte in regola per affrontare questo mercato (vari paesi, tra cui il Giappone, l’hanno comprato).
Perché questo non accada si è discusso in un workshop coordinato da Vincenzo Bugno, e affidato agli interventi di Luciana Castellina, dell’esportatrice Adriana Chiesa, di Peter Paul Huth della ZDF e Stephan Hutter della Prokino.
Del resto è stata proprio la Prokino a comprare La stanza del figlio. Con risultati insperati: 44.000 ingressi in otto giorni. Un rimonta dall’undicesimo al nono posto proprio nella settimana di Harry Potter, che sta spazzando tutti con due milioni e mezzo di spettatori e oltre cinquecento copie in circolazione.
Moretti è un fenomeno circoscritto a settanta sale, certo. Ma il miracolo resta: un film italiano tiene testa al blockbuster del momento. Mentre fino all’anno scorso i suoi film passavano solo in tv a tarda sera: i 120mila telespettatori di Caro diario nel ’94 sembrarono un esercito.
Nanni è anche il grande protagonista della sfida che anima, sempre qui a Berlino, l’edizione 2001 degli European Film Awards e che si ripeterà quasi certamente agli Oscar americani: La stanza del figlio contro Il favoloso mondo di Amelie. Laura Morante, anche lei candidata come miglior attrice assieme a Stefania Sandrelli per L’ultimo bacio, è già qui in città. Come Moretti. E come Ermanno Olmi, che ha una nomination nella categoria “regista dell’anno”. Ma bisognerà aspettare la sera del 1° dicembre, quando alle 20 in punto si apriranno le porte del Tempodrom per una cerimonia che non vuole avere nulla da invidiare agli Oscar. E che scommette sull’esistenza di uno star system europeo.
La sua sostanziale assenza è uno dei freni alla diffusione del cinema dei paese europei fuori dalla nazione d’origine. Quello italiano ha in Germania una quota di mercato addirittura ridicola, sotto l’1%. Eppure non manca la curiosità e l’attenzione. “I film italiani non sono exportation movies“, riflette Hutter. “Ma opere come Le fate ignoranti o L’ultimo bacio hanno una certa italianità che li rende interessanti, non per la massa ma per un pubblico selezionato”. Muccino uscirà a gennaio. In passato si sono visti i Taviani, Amelio, Tornatore, naturalmente Benigni; in tv anche Calopresti, Mazzacurati, Soldini. Oggi c’è un’attenzione diversa.
“Lo spartiacque – spiega Huth, che si occupa di acquisizioni per la tv – è stato proprio Pane e tulipani: sembrava non avere alcun potenziale commerciale, invece ha sfondato con un milione e quattrocentomila presenze”.
Un successo da consolidare. Come fanno i francesi, anche grazie a Unifrance. “Anche Italia Cinema, in poco tempo, ha messo in piedi una struttura che funziona e che sforna tante idee”, osserva Hutter. “Se non viene troncata ad ogni cambio di governo, se viene fornita di risorse adeguate, il cinema italiano potrà raggiungere quello francese”.
Ma cosa chiedono i distributori tedeschi? Informazioni dettagliate, buoni materiali promozionali, un miglior rapporto delle produzioni con la stampa internazionale, una politica di sensibilizzazione anche dei canali televisivi, senza i quali è spesso impossibile coprire i costi per l’edizione (ci vogliono circa 400.000 DM per far uscire un film). Ma soprattutto qualità. Il comico è inesportabile, i film internazionali non interessano nessuno. Pare che il nostro segreto sia una rara miscela di serietà e leggerezza.
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