VENEZIA – Dal principio della camera oscura, il piccolo Leo – 5 anni – “chiede” Lasciami andare, titolo del film di chiusura della 77ma Mostra del Cinema di Venezia, diretto da Stefano Mordini: ci sono abitazioni lagunari che, socchiuse le imposte, per un effetto di luce basato sul principio del dispositivo ottico (camera oscura), riflettono le immagini esterne sulle pareti interne, conferendo un sentimento onirico, che porta con sé tracce d’inquietudine e mistero. “Il film lavora su un’idea non tanto dell’invisibile ma di ciò che cerchiamo spesso per superare un certo tipo di dolore, una speranza aperta, un’idea di continuità; l’invisibile è la distanza tra la realtà e la ricerca. Il libro di riferimento non cercava la verità, ma di entrare nelle paure di ognuno di noi”, spiega il regista.
Il romanzo You Came Back di Christopher Coake fa da base al film, scritto da Mordini con Francesca Marciano e Luca Infascelli, e diretto dallo stesso autore con una visione e un’estetica (la fotografia è di Luigi Martinucci) consapevoli e sofisticate: Venezia, l’acqua alta, le sue architetture, le case “galleggianti”, il meteo plumbeo, di certo concorrono a conferire una più efficace atmosfera al thriller, che però si muove senza dubbi di sceneggiatura, progredendo nel profilare e sfamare il mistero, senza nessuna anomala distorsione o vuoti interrogativi: Marco – Stefano Accorsi, e Clara – Maya Sansa, 8 anni fa hanno perso il loro primogenito, precipitato accidentalmente dalla tromba delle scale di casa, mentre cercava il proprio orsacchiotto del cuore. Le scale, e l’orsacchiotto, sono per il film due elementi visivi, narrativi e metaforici chiave: le prime – un andamento alto-basso, ma anche passato-futuro, e qui-altrove – sembrano suggerire alla memoria alcune vertiginose incisioni di Escher, che favoriscono una certa suggestione, amplificata dall’uso conscio della mdp, che gioca, ma non abusa, di sguardi a piombo dall’alto – quanto inversi – punti di vista ideali alla narrazione e all’emotività di chi guarda.
“Marco è un uomo che si aggrappa alla razionalità per andare avanti, sicuramente il suo essere ingegnere, uomo razionale, non mi ha aiutato ad allontanarmi dall’emotività, ma mi è servito pensare che lottasse contro qualcosa più grande di lui, il mistero e il dolore più grandi di lui”, dice Stefano Accorsi.
Nel tempo, la storia della coppia s’è sfaldata e Marco aspetta un bambino da Anita – Serena Rossi, quando irrompe Perla Gallo – Valeria Golino, altoborghese imprenditrice culturale e turistica, da qualche tempo in città dagli Stati Uniti, con il figlio, una decina d’anni: i due abitano ora la casa dell’effetto con la camera oscura, quella in cui Leo è precipitato dalle scale. Leo è morto, ma qualcosa sembra suggerirne una presenza, in fondo non incredibile secondo certe linee della filosofia orientale, disciplina di cui è docente universitario il padre di Marco – interpretato da Elio De Capitani – e anche per un collega fisico quantistico, che spiega loro la non linearità del concetto di tempo.
“Penso che dopo una vicenda del genere nessuno riesca a liberarsene completamente: nel contesto del film, Clara vede Perla quasi come un angelo, forse potrà entrare di nuovo in contatto col figlio perduto; è un personaggio che sceglie di credere a ciò che non è tangibile, forse una caratteristica del lato più femminile dell’essere umano, che ha agio nel relazionarsi al mistero, senza un raziocinio che blocca a questa apertura. Clara si tuffa, e siccome l’amore con Marco era finito solo per il dramma, c’è quasi un desiderio di trovare ciò che era perduto. Mordini-regista ci ha accompagnati in questo mondo misterioso dandoci una libertà infinita, che credo guardando il film si percepisca”, per Sansa.
Mentre Valeria Golino: “Ero molto interessata all’ambiguità del personaggio di Perla, così soavemente sgradevole, mai elusiva, molto gentile: il suo doppio binario, per cui fino alla fine non capisci chi sia davvero, ambasciatrice di notizie gravissime. Mi sembrava una cosa abbastanza nuova per me, la proposta di un ruolo che mi desse la possibilità di essere qualcuno di sgradevole, l’ho affrontato seguendo moltissimo Mordini, che mi ha palleggiata, non mi ha mai dato una certezza, in ogni scena cambiavamo il suo scopo: mi ha molto diretta e io sono grata ai registi che lo fanno”.
Mentre “Anita è un raggio di sole, pura, limpida, senza sovrastrutture e senza un passato difficile e doloroso come gli altri protagonisti: lo scoprire il suo essere incinta pone Marco dinnanzi ad una paura antica, come se – suo malgrado – gli lanciasse una sfida. Non di meno, lei, ha paura di perderlo all’arrivo di Perla”, riflette Serena Rossi.
Uno spunto narrativo drammatico, ordito con l’eleganza della truffa, la razionalità dei genitori, soprattutto del papà, che però, lucidamente per le letture orientali e le questioni quantistiche, ma, di più ancora, le proprie sensazioni istintive, si lascia accarezzare da quella strana, affascinante, inquietante energia del passato. “Io non penso molto alle ‘presenze’, ma ho avuto un’esperienza nella vita che mi ha lasciato scioccato: in una stanza, con un’altra persona, facendo cose differenti, abbiamo avuto una sensazione fortissima, che ha agito molto forte su di me, e credo che queste esperienze abbiano a che fare con la parte più profonda di noi, con delle emozioni arcaiche”, racconta ancora Stefano Accorsi.
Mordini sceglie di maneggiare e far correre insieme soggetti delicatissimi, mette in scena la morte di un bambino e la fa accarezzare dalla filosofia e dalla fisica, oltre che dall’umana speranza, forse la più “pericolosa” da maneggiare, ma lo fa ancorandosi ad una scrittura sicura e usando una sensibilità paterna, che permette al film di non inciampare in qualunquismi, facili esoterismi, mantenendo costante e crescente la tensione del mistero a tutto tondo, fino all’ultimo sorriso e poi al nero finale, “l’unico momento – quando sorride – in cui per Marco, in modo inaspettato, c’è un clic specifico: è riuscito a girar pagina, ma in qualche modo sa che potrà continuare a portarsi dietro altro, accettando il mistero ma con un’emozione diversa da quella vissuta prima di allora”, precisa Accorsi, seguito da Mordini, che puntualizza: “Il film, in quell’invisibile di cui si parla, è una storia d’amore, i personaggi inseguono qualcosa che amano, quindi nel sorriso finale c’è il riconoscimento del protagonista in qualcosa di nuovo, che gli fa pensare che – forse – qualcosa sia successo e sia la direzione giusta, forse; ‘forse’ perché il film pone domande ma non dà risposte. Come regista, in modo inaspettato, molto sono stato a guardare, per assorbire poi nel film cose come il sorriso finale”.
Il film esce l’8 ottobre con Warner Bros. Pictures.
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