‘Montanario’ unico italiano in Concorso. La regista: “pronta a tornare sul Monte Bianco”

L’intervista a Eleonora Mastropietro, autrice dell’unico titolo nostrano in gara a Trento: storia della funivia del versante italiano del Bianco


TRENTO – Una geografa, professoressa associata presso l’Università degli Studi di Milano, l’autrice dell’unico film italiano in Concorso al 71° Trento FF: Eleonora Mastropietro, alla sua opera seconda. 

Montanario – Upon That Mountain riflette un anno di osservazione della funivia del Monte Bianco, quella posta sul versante italiano, prima della chiusura del 2020. La sua costruzione era iniziata nel ’41 con partenza da La Palaud – Courmayeur, allora un sogno di modernità, interrotto poi (momentaneamente) per la guerra; nel ’47 è stato completato il secondo tratto e nel 54’ si apriva il cantiere per il terzo: è la storia di un impianto di risalita e non solo, lunga oltre 60 anni (e che poi ha lasciato spazio alla funivia SkyWay).

Un luogo nel quale la macchina, gli operai e gli utenti sono gli attori di uno spettacolo progettato per superare i limiti della modernità. Il film ritrae la routine quotidiana e il comportamento dei visitatori, al contempo esplora il rapporto tra tecnologia, turismo e alpinismo, città e modernità, osservazione e immagine, rappresentazione ed esperienza.

Eleonora, Montanario è esempio di come la montagna sia anche un mestiere, fatto di macchine, operai, ricezione turistica: come l’ambiente montano si sposa con forme così distanti dalla sua essenza istintiva – che è quello che il doc mostra, e in fondo anche tema molto attuale, rispetto alla questione della convivenza con gli orsi, proprio qui in Trentino? 

Quella del documentario è una montagna un po’ particolare perché il Monte Bianco ha un’antropizzazione di lunghissima data; l’utilizzo delle Alpi come territorio di turismo è sedimentato e forse su alcune aree non vale nemmeno più la pena di stare a discutere. Lì l’eccezionalità è che la struttura sia nuova, ha sostituito la precedente che era obsoleta e apparteneva a un mondo precedente della montagna. Sul versante italiano della funivia la tecnologia si integra all’esperienza alpina: tutta l’esperienza alpina in questo momento è connessa alla tecnologia, come se fai sport estremo, non è più quello con corda e picozza, ma è un’esperienza tecnologica. E quella del Bianco è un’esperienza in cui struttura e tecnologia consentono a una grande quantità di persone di fare un’esperienza che altrimenti non farebbero e questa è un po’ la fascinazione che mi ha portata lì. 

Il ‘cinema di montagna’ è un genere specifico con una sua storia: lei, per Montanario, ha guardato a esempi precedenti, sia del genere specifico o magari riferendosi ad altre visioni? Per esempio ha scelto di inserire anche materiali di repertorio. 

Io non sono alpinista e non sono legata in particolare al cinema di montagna, non ho riferimenti specifici, ho visto molte cose che mi hanno interessata ma non ho nessuna reference specifica; invece per il materiale d’archivio sono andata a cercare rappresentazioni precedenti del Monte Bianco e in particolare le due che poi sono nel film provengono dal Museo della Montagna di Torino: la prima è del 1911 ed è uno dei primi filmati realizzati sul Bianco, con la visione del Dente del Gigante, così impressionante. C’è un legame tra quello che ho visto nel materiale d’archivio e quello che poi abbiamo realizzato: come desiderio c’è quasi quello di mostrare la differenza ma stringi, stringi, la rappresentazione che ne emerge è parente perché, nonostante la tecnologia sia cambiata, la montagna si fa riprende in un modo.

A questo proposito, da un punto di vista sia estetico che tecnico, la montagna è un soggetto facilmente incline a dialogare con l’arte del cinema? Per questo film, ha fatto scelte particolari di ripresa o di uso di strumenti/tecnologie?

La montagna è favolosa per il cinema perché se anche tu non sai fare niente, lei è lì, spettacolare: la luce è un direttore della fotografia naturale e non pagato, quindi la montagna fa dei regali al cinema ma dall’altra parte ti vincola, perché riuscire a darne una rappresentazione che non sia sempre la solita è difficile perché ti strega e resti lì e non puoi inventarti punti di ripresa, quelli sono, a meno che tu non sia un alpinista che s’arrampica. Per le riprese abbiamo girato con un operatore abituato a lavorare in montagna, abbiamo girato con una Red, una tecnologia usuale. 

Il Monte Bianco è uno spettacolo di per sé, l’esperienza della funivia altrettanto, restituisce suggestione visiva, adrenalina, senso del fare, sensazioni molto prossime a quelle del vissuto cinematografico. Ha pensato a questo parallelismo e intercettato punti di contatto tra la montagna e l’arte del cinema?

Mentre lavoravamo al film abbiamo iniziato a ripeterci che la montagna ti porti a fare due cose: o ad averne esperienza diretta, quindi tu fai qualcosa e hai un contatto, per cui ti arriva vicina e la tocchi, ma se non fai quello la contempli e questo è il legame con il cinema. È un po’ un gioco di specchi: chi sta lì la guarda, la riprende, e noi abbiamo fatto la stessa cosa: una fantasia è stata pensare di usare del materiale per un’installazione in cui le persone senza salire potessero fare l’esperienza, l’idea è lì… potrebbe evolvere. 

Montanario è un doc ma dopo questa esperienza pensa potrebbe misurarsi col cinema di finzione? Sempre raccontando la montagna oppure esplorando altri generi o tematiche?

Stiamo lavorando a un progetto, che ha di nuovo a che fare col Monte Bianco, è una storia vera che richiede però molta invenzione, perché ha delle lacune, ma sono pronta a tornare lassù. 

Il film è l’unica opera italiana in Concorso: quali sono a suo avviso le caratteristiche che l’hanno reso capace di distinguersi?

Sono molto contenta sia un lavoro rigoroso, che dalle scelte radicali non esce mai, e secondo me questo è qualcosa che forse l’ha distinto, in sala funziona molto bene. 

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30 Aprile 2023

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