Un uomo-scimmia dalle capacità eccezionali ma incapace di riconoscerle, un simbolo di saggezza, forza e giustizia che ha saputo sfidare gli Dei. In poche parole, un eroe. Si ispira alla leggenda di Hanuman, Dev Patel per realizzare il suo primo film da sceneggiatore e regista, Monkey Man, un revenge action movie che ha saputo colpire Jordan Peele. Il regista di Scappa – Get Out non ha esitato a definirlo “uno dei suoi nuovi film preferiti” e ha contribuito a promuoverlo su scala globale, strappandolo dalla distribuzione in streaming di Netflix (originario distributore) e portandolo nelle sale con Universal, dal 4 aprile anche in Italia.
Dev Patel è l’attore di origini indiane di gran lunga più riconoscibile della sua generazione. Un artista che ha saputo far emozionare milioni di spettatori in film come The Millionaire e Lion, e che per il suo esordio alla regia ha puntato su generi completamente diversi, regalandoci – o meglio regalandosi – un’opera dall’identità sfaccettata, eppure estremamente specifica, in cui si leggono citazioni ai migliori film action contemporanee (il riferimento a John Wick è esplicito, ma anche a The Raid), e del passato (Rocky, ad esempio). Il tutto influenzato da una matrice fortemente folkloristica, con il mito indiano di Hanuman che in molti ricorderanno per avere ispirato l’asiatico Sun Wukong, il Re Scimmia alla base di manga come Dragon Ball e One Piece.
Patel interpreta Kid, un giovane uomo che vive in povertà a Mumbai e che cerca di sbarcare il lunario combattendo in un club clandestino. Con indosso una maschera da gorilla si lascia martoriare di colpi dai combattenti più forti, dimostrando così la sua qualità principale: essere disposto “a svolgere il lavoro che nessuno vuole fare”, spingendosi al limite delle sue possibilità. Convinto che la sua – e quella di milioni di persone nella stessa condizione – non sia una “vita vera”, Kid non ha niente da perdere e inizia a portare avanti un complesso piano per intrufolarsi in un locale di lusso in cui vanno abitualmente le persone più ricche e potenti del Paese, tra le quali ci sono i due uomini che, quando era solo un bambino, gli hanno rovinato la vita, provocandogli un trauma e delle cicatrici che porterà per sempre con sé. Monkey Man è un lungo viaggio verso la vendetta, in cui l’action movie di arti marziali si fonde al film sportivo di stampo pugilistico per arrivare fino a un apice di carattere epico, con forti componenti sociali. L’autore non si pone limiti e spinge la sua opera allo stremo, creando un personaggio che rispecchia l’archetipo dell’eroe assoluto, chiamato per destino e vocazione a proteggere gli ultimi dalle tirannie dei potenti.
Già solo interpretare questo ruolo sarebbe bastato a Patel per entrare nell’immaginario cinematografico collettivo, ma scegliendo di mettersi anche dietro la macchina da presa, ha dimostrato il coraggio di prendere in mano un progetto che evidentemente solo lui poteva portare alla fine esattamente come lo aveva pensato in origine. Registicamente Monkey Man è efficace e ambizioso, forse anche troppo, con un look che vuole subito attirare l’attenzione a discapito di un budget non di certo hollywoodiano. Patel sceglie di stare vicinissimo all’azione, giocando moltissimo sulla messa a fuoco per restituire il disagio fisico e psicologico del suo protagonista, un disagio che viene sicuramente trasmesso allo spettatore, sballottato per minuti interi in adrenaliniche, quanto un po’ caotiche, scene d’azione, che siano scontri di pugilato, inseguimenti in macchina o colossali scene di combattimento all’arma bianca. Forse mancherà la fluidità dell’azione che caratterizza la saga di John Wick, ma la piacevole sensazione è che tutto sia fatto apposta e pensato a tavolino. Una scelta autoriale, insomma, che è proprio quello che si chiede a un attore che diventa regista.
Il montaggio frenetico non abbandona il film neanche lontano dalle scene d’azione, accompagnando il viaggio di redenzione dell’eroe attraverso continui flashback e visioni, che hanno l’intento di scavare nei suoi tormenti fino a farli emergere in superficie. Cruciale per restituire l’effetto finale del film, è la colonna sonora di Jed Kurzel, composta appositamente in vista della distribuzione in sala, che in alcune sequenze offre soluzioni inaspettate e memorabili, giocando a volte sul contrasto a volte sull’enfatizzione.
Con Monkey Man Dev Patel dimostra di avere un indiscutibile talento per la narrazione visiva, oltre quello già acclarato per la recitazione. Al netto di alcune sbavature nel ritmo complessivo, l’ispirazione e la visione cristallina di cosa dovesse essere questo film hanno di certo contribuito all’eccellente risultato finale. Nonostante ciò, la speranza è che non si tratti di un esperimento isolato, ma di un primo passo che ci porti un autore capace di fondere definitivamente il grande cinema di genere proveniente dall’India e dagli States. Bollywood e Hollywood a braccetto grazie a un artista nato a Londra: cosa possiamo chiedere di più?
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