VENEZIA – Nel centenario della nascita di Mario Monicelli – a cui la Mostra rende omaggio con la bella installazione di Chiara Rapaccini, i “fantasmi” che sventolano nell’atrio del Casinò, lenzuola dove sono riprodotte foto e immagini legate alla biografia del grande regista viareggino – la Cineteca Nazionale porta in prima mondiale a Venezia Classici il restauro di uno dei suoi titoli meno conosciuti. Uscito nel 1973, invitato in concorso al Festival di Cannes ma “oscurato” dal successo di scandalo de La grande abbuffata, Vogliamo i colonnelli è infatti, nella fittissima filmografia monicelliana, uno tra gli episodi più dimenticati. Ispirato a fatti ben vivi nella memoria dell’epoca (dal “Piano Solo” del generale De Lorenzo al “golpe Borghese” alla dittatura militare in Grecia), il film racconta – come spiega il sottotitolo – la “cronaca di un colpo di Stato” guidato dall’onorevole Giuseppe Tritoni della Grande Destra (interpretato da Ugo Tognazzi), con la complicità di una “armata Brancaleone” di militari in servizio e in pensione. Più che una commedia all’italiana, un’autentica, scatenata “farsa alla Keaton”, come la definì lo stesso Monicelli in un’intervista a Sergio Toffetti raccolta nel volume Lo sguardo eclettico (Marsilio, 2011): “Con Age e Scarpelli l’abbiamo costruita prendendo spunto dai giornali che adombravano la faccenda. C’era quel generale con il monocolo, De Lorenzo, che era già una macchietta, c’era quello che voleva fare un golpe con la guardia forestale, così decidemmo di spingere al massimo e ci divertimmo, anche perché il colpo di stato in Italia non era credibile, o meglio lo era ma non lo era”.
Accanto a Tognazzi, un “esercito” di caratteristi (da Antonino Faà di Bruno a Camillo Milli) e di non attori, come Giancarlo Fusco e il fondatore del “Male” Pino Zac, dà vita a una galleria di irresistibili cialtroni cui Age e Scarpelli (con un lavoro sulla “lingua destrorsa” degna dell’epopea di Brancaleone) offrono battute memorabili: dal “barracuda volante” Barbacane, trevigiano col mito del romanesco (perché “il veneto ciacola, il romano azzanna”) alla contessa d’Amatrice, al colonnello Automatikos. “Il film – proseguiva Monicelli – dovrebbe essere dato nelle scuole di cinema, perché chi vuol fare il regista deve imparare innanzitutto la farsa: chi sa fare la farsa, sa fare tutto. Perché è complicatissima: è difficile tenere i toni, dirigere gli attori, reggere i ritmi”. Oltre che una farsa, però, Vogliamo i colonnelli – come notava il suo autore in un’intervista riportata nel pressbook dell’epoca – “è un film di fantapolitica, una satira: attraverso la storia di un gruppo di militari trucibaldi, intendo mettere in guardia i cittadini contro l’inganno in cui potrebbero cadere”. Per questo – continuava Monicelli – al momento di chiudere il film la scelta era caduta su un finale amaro: “La prima idea è stata quella di un finale “positivo” con bandiere rosse vincitrici. Ma allora, ci siamo detti, è inutile fare il film. Noi volevamo, infatti, far suonare una campana. Dire allo spettatore e quindi al cittadino di fare attenzione, di essere vigilante…”
Il restauro è promosso da CSC – Cineteca Nazionale in collaborazione con Dean Film.
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