TRIESTE – Va a Monica Bellucci il premio Eastern Star Award 2017, riconoscimento assegnato dal Trieste Film Festival per segnalare una personalità del mondo del cinema che con il suo lavoro ha contribuito a gettare un ponte tra l’Europa dell’Est e dell’Ovest. Carisma da diva, eppure sempre discreta, Bellucci è accorsa a Trieste per ritirare il premio ma anche per presentare On the Milky Road, il film di Emir Kusturica nel quale recita da protagonista. Già presentato in concorso all’ultima Mostra di Venezia (leggi l’articolo di Cinecittà News), e in uscita nelle sale italiane tra fine aprile e inizio maggio distribuito da Europictures, On the Milky Road è “una storia potente, attraversata da momenti surreali e una grande parte poetica – spiega l’attrice – ma ciò che mi ha più toccato in questo scenario così particolare è la parte intima”.
Signora Bellucci, com’è stato entrare nel particolare immaginario di Kusturica?
Ho sempre avuto grande stima per Kusturica, uno degli artisti più eclettici che io abbia mai incontrato. Emir mi ha chiamato e mi ha detto che stava pensando a me per un film. Ho letto il copione e mi sono trovata in questa avventura. È bello che Kusturica sia tornato al cinema con un film che è un inno alla speranza, all’amore e alla vita. Una storia d’amore tra due persone non più giovani con un passato doloroso, persone che hanno perso tutto e non si aspettano più niente dalla vita. Ma a partire dal loro incontro qualcosa di magico può nascere ancora. È facile raccontare l’amore e la sensualità quando si hanno vent’anni. Ma in questo caso si affronta una storia d’amore matura, quando l’amore non è più una questione di ormoni. È stata una grande avventura e non mi sono mai annoiata sul set. Perché è un uomo dalle mille risorse, ha un’energia incredibile. Anzi, qualche volta posso aver avuto un po’ di paura a seguirlo, va molto veloce. Mi sono ritrovata a fare cose che non avrei mai pensato di fare come tuffarmi nell’acqua gelata, saltare da 5 metri di altezza… Cose molto fisiche, e io non sono affatto una persona fisica, non faccio neppure ginnastica. Ma il film richiedeva una grande fisicità.
Nella sua carriera ha affrontato ogni tipo di ruolo. Quali trova più stimolanti?
Tutto può essere interessante, perché tutti i sentimenti sono interessanti, dipende da come li si racconta. È tutta lì la differenza. La commedia può essere di estrema intelligenza quando è fatta in un modo sottile, sarcastico e in Italia siamo i padroni di questo modo di raccontare le cose tra il tragico e il comico. Tra poco arriverà anche in Italia una commedia che ho fatto da poco in America, si intitola Mozart in the jungle. Recito il ruolo di una cantante d’opera che si toglie dalle scene e grazie a un giovane che arriva nella sua vita, un direttore d’orchestra interpretato da Gael Garcia Bernal, ritrova la voglia di vivere e di cantare. Lui le toglie la paura di invecchiare. Mi piace la commedia laddove diventa metafora per raccontare gli aspetti tragici della vita. Il cinema è una forma d’arte altissima. Tutto il cinema, non solo i film d’autore, ma anche i blockbuster, le commedie, solo apparentemente più disimpegnati. Non è che Avatar, per il solo fatto di essere un blockbuster, non affronti temi profondi. Il cinema racconta la vita e l’arte è necessaria per la sopravvivenza. Infatti dove ci sono regimi autoritari la prima cosa che si sopprime è l’arte. Perché l’arte fa innalzare l’uomo.
Se non si fosse dedicata al cinema, quale sarebbe stata la sua professione?
Sicuramente qualcosa di legato ai bambini, magari la maestra d’asilo o l’ostetrica.
Viviamo un’epoca con molte “celebrities” ma pochi divi o dive. Lei forse è una delle poche “dive” del presente. Si sente tale? E come si fa oggi, in un mondo in cui si sa sempre tutto, anche attraverso i social media, a mantenere quell’aura di mistero?
Quando faccio film io mi do al pubblico perché io sono il pubblico. Quando vado al cinema mi emoziono, partecipo e quindi so cosa vuole dire. So che è importante mantenere un legame con lo spettatore e quando promuovo un film sono presente, mi espongo. Però c’è un confine tra la sfera pubblica e quella privata, tra la persona e l’attrice. E la mia famiglia non fa parte dello show. Perciò cerco di mantenere una certa riservatezza. Finora ci sono riuscita.
Lei si considera un simbolo? È riuscita ad andare oltre l’idea di “donna oggetto” e in questo senso ha fatto del bene all’immagine femminile in generale.
Non lo faccio intenzionalmente, non agisco secondo un programma. Faccio delle scelte, favorisco un certo tipo di cinema, di autori, di personaggi. Questo è il mio lavoro e poi come donna ho bisogno di tutte le cose di cui hanno bisogno le donne. Se rappresento qualcosa mi fa piacere. Magari è perché alcune donne hanno a loro volta rappresentato qualcosa per me. Che sia Rita Levi-Montalcini o Anna Magnani. Le più diverse. Donne che senza averle mai conosciute mi hanno comunicato qualcosa, per quello che mi hanno trasmesso attraverso i loro volti o le loro parole, che sia per la loro forza e per il loro dolore. Mi hanno tracciato la via. Se oggi come donna adulta posso rappresentare un modello per qualcuno mi fa piacere. Abbiamo bisogno dei riferimenti.
Il film è stato girato nell’arco di tre estati. La sceneggiatura del film è rimasta sempre uguale o di anno in anno sono intervenuti cambiamenti?
Emir Kusturica usa la sceneggiatura un po’ come una base e molte cose possono cambiare. È un po’ come un pittore. Può essere stimolato da qualcosa che capita in quel preciso momento. Però la struttura di base rimane quella. I grandi registi sono un po’ come dei maghi, dei veggenti e hanno la capacità di studiare le persone e conoscerle. Al punto che magari ti propongono ruoli che nemmeno ti aspetti. È come se sapessero che quei ruoli sono alla tua portata. Quando Emir mi ha proposto questo ruolo, tra l’altro parlato in serbo, pensavo che non ce l’avrei mai fatta. E invece poi è successa la magia e, non so, si può anche parlare serbo.
Questo è un film dove c’è l’amore ma c’è anche la guerra, con un regista che ha espresso posizioni difficili su questi temi e in un periodo di forti recrudescenze delle tensioni sia nei Balcani che nel resto del mondo. Secondo lei dove sta andando l’Europa, ma anche l’America di Trump, in questo periodo di grandi cambiamenti?
Ho lavorato per tre anni in una terra bella ma di grande dolore e di cui in Europa sappiamo troppo poco. Una terra più volte colonizzata e anche spersonalizzata per il gran numero di etnie che l’ha occupata. È davvero difficile giudicare le cose dall’esterno. E siamo anche troppo ignoranti per farlo. Io lì ho capito molte cose, anche di quanto dolore appartenga a quel luogo. Personalmente però ho avuto un approccio umano e artistico e non politico. Anche con Kusturica il rapporto era di tipo umano. Ho lavorato con un artista. Non voglio entrare nel merito politico.
Partendo dalla sua partecipazione all’attesissima nuova serie di Twin Peaks, cosa ne pensa del ruolo sempre più dominante della televisione anche in rapporto, talvolta di competizione, con il cinema?
Non so se c’è competizione. È vero che la tv è un mezzo di comunicazione enorme, ma questi sono i miei primi passi nella televisione. Certo posso dire che il modo di lavorare è molto diverso. Più veloce. Al cinema è tutto più intimo, hai un rapporto privilegiato con il regista. Alla tv magari ti capita di lavorare con tre registi diversi. E’ come un famiglia che condivide tutto. Comunque è un’esperienza interessante. Poi non so quante serie tv farò nella vita, perché io mi interesso più al ruolo non al mezzo.
Non ci può dire proprio nulla su Twin Peaks?
Nulla.
L'edizione 2017 si è chiusa con due premi "al femminile" assegnati dagli spettatori: il Premio Trieste al miglior lungometraggio in concorso va a A good wife, esordio alla regia dell'attrice serba Mirjana Karanović, anche protagonista nei panni di Milena. Il Premio Alpe Adria Cinema al miglior documentario in concorso segnala invece il polacco Communion di Anna Zamecka
Il regista ha ritirato al Trieste Film Festival il premio attribuito dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) andato a Fai bei sogni, che è stato designato Miglior Film Italiano del 2016 attraverso un “referendum” aperto a tutti i soci del Sindacato. Un po’ sorpreso e particolarmente soddisfatto, Bellocchio, perché questo riconoscimento gli arriva proprio dalla critica, che all’epoca della presentazione alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes, si era divisa nel giudizio. E non è mancato un ultimo ricordo dedicato a Emmanuelle Riva che con lui aveva recitato in Gli occhi, la bocca
Al Trieste Film Festival abbiamo incontrato uno degli autori di punta del nuovo cinema romeno, che ha ricevuto il Premio InCE (Iniziativa Centro Europea) 2017. In questa intervista ci racconta che voleva fare il pittore, se non fosse stato per Cassavetes, e ci parla del suo nuovo film Sieranevada, in uscita ad aprile con Parthenos. "Appena metti insieme due persone, due cervelli diversi, per avere una conversazione educata e arrivare a una conclusione comune, dovranno adattare le proprie idee sugli argomenti su cui stanno discutendo. Ciò non significa che raggiungeranno la realtà oggettiva, ma creeranno una nuova realtà di consenso”, dice il regista
A quarant’anni dalla Palma d’oro di Padre padrone, il Trieste Film Festival rende omaggio al protagonista del film dei fratelli Taviani. “Quando andai in Sardegna dopo il festival di Cannes mi odiavano tutti - ricorda l'attore - Ero considerato il responsabile per un tipo di rappresentazione di quelle terre che non andava loro a genio”. Tanti gli aneddoti sull’ostilità nei suoi confronti, come quella volta che il futuro presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo rimproverò dicendo: “Padre padrone non ci è piaciuto! I panni sporchi noi li laviamo in casa”