E’ un Marocco senza futuro e disperato dove anche i sogni piú semplici muoiono, quello raccontato da Mohamed Asli nella sua opera prima A Casablanca gli angeli non volano, in programma alla Semaine de la Critique e che concorre alla Camera d’Or. Dopo tanti film coprodotti con la Francia, per la prima volta una coproduzione italo-marocchina (Istituto Luce, Dagham Film, Gam Film in collaborazione con Rai Cinema) che arriverà nelle sale italiane il prossimo 11 giugno. Mohamed Asli, studi cinematografici a Milano, una lunga esperienza come produttore esecutivo (da Marrakech express di Gabriele Salavatores a Ilaria Alpi-Il piú crudele dei giorni di Ferdinando Vicentini Orgnani), ha inoltre dato vita a Ourzazate, con il contributo determinante dell’Istituto Luce e della Regione Lazio, al Centro Euromediterraneo di cinematografia e dell’audiovisivo. Una Scuola di cinema, che insieme alla Film Commission Ourzazate, struttura al servizio delle produzioni cinematografiche nazionali e internazionali sempre con il sostegno del Luce e della Regione Lazio, consentirà finalmente al Marocco di aspirare finalmente a una propria identità cinematografica. “A 50 anni dall’indipendenza il mio paese non ha allevato una generazione di sceneggiatori, montatori, direttori della fotografia, speriamo che questa scuola rappresenti un’opportunità e consenta di accorciare le distanze nel Mediterraneo”.
Le storie di Said, Ottman e Ismail sono la metafora di un Marocco senza solidarietà umana.
Le persone non hanno il coraggio di fermarsi e di prestare aiuto a Said con accanto la moglie morta, per paura della polizia. Casablanca è ormai una città dormitorio, preda della speculazione edilizia, la stessa di Le mani sulla città di Francesco Rosi. E’ vero non c’è un barlume di speranza nel mio film. L’aver trovato un piccolo spazio per mostrare il mio Marocco, è già una speranza. Ho lavorato sette anni per realizzare A Casablanca gli angeli non volano. Sono come questi tre personaggi, i miei sogni non sono così facilmente realizzabili. Per 24 anni ho sacrificato la mia vita professionale, occupandomi di produzione, ma io sono un regista, ho studiato e frequentato una scuola a Milano per esserlo.
E neppure c’è un atto di ribellione di Said e dei suoi amici.
Non è questione di atti, non siamo ancora arrivati alla ribellione o a proporre una soluzione. Il film racconta la realtà di questi giorni, segnata da una violenza che non ci saremmo aspettati che covasse nel nostro mondo, fatto di sentimenti molto semplici e piccoli sogni.
Per il suo debutto ha voluto quasi tutti attori non professionisti.
E’ una scelta dettata non da ragioni economiche ma artistiche, perché il mio film aveva bisogno di anima. La bravura è venuta dopo, abbiamo lavorato perché gli interpreti la esprimessero.
O forse in questa scelta c’è l’influenza del neorealismo da lei amato?
E’ il cinema che mi ha portato in Italia e dopo tanti rimane il cinema che piú è vicino ai miei sentimenti.
Nel paradosso di un Marocco, nel quale ci sono location di grandi produzioni internazionali che non aiutano la vostra cinematografia, lei ha trovato un piccolo spazio come regista.
E’ importante che ci sia questo cinema, ma il mio lavoro puó aiutare il mondo a decifrare certi enigmi che oggi sono davanti a noi e che non riusciamo a risolvere se ci viene data la possibilità di comunicare e di raccontare il nostro mondo. E’ il solo modo per conoscerci e avere risposte corrette agli eventi che ci minacciano tutti.
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