Esce il 26 settembre in 350 copie Universitari – Molto più che amici – da notare il nuovo trend dei titoli e sottotitoli Medusa, dopo il successo di Quasi amici – nuovo film di Federico Moccia che, già dal titolo, si preannuncia rivolto a un target un po’ più adulto di quello a cui il regista e scrittore si era dedicato fino ad oggi: dai quindici anni del liceo – Tre metri sopra il cielo, Ho voglia di te e, per certi versi, anche i successivi Scusa ma ti chiamo amore e Scusa ma ti voglio sposare – ai venti dell’università. Volti freschi e per lo più nuovi (tranne quelli noti di Primo Reggiani e Nadir Caselli e le comparsate di Fabio Troiano, Amanda Sandrelli e Barbara De Rossi) compongono il cast: Simone Riccioni, Brice Martinet, Sara Cardinaletti, Maria Chiara Centorami, uniti, come capita a molti loro coetanei dalla convivenza forzata – in quanto fuorisede – in un grande appartamento. “Io stesso ho provato l’università – spiega il regista – ero iscritto a legge e ho dato sedici esami. Ma io ero romano, quindi tornavo a dormire dai miei. Mi divertivo però a frequentare le case ‘con festa incorporata’ dei fuorisede. Ho cercato di ricreare quell’atmosfera, senza però ricalcare quanto fatto in precedenza da altri. Per esempio Pieraccioni, nei Laureati, parlava di gente molto più grande e molto più fuori corso. Anche se trovo che oggi nel mondo dell’università si sia persa un po’ la direzione, ci si batte per motivi futili, c’è anche un allontanamento dalla politica”.
Le parole del regista non arrivano a caso. Qualche tempo fa, durante le riprese che si sono svolte in parte proprio a La Sapienza di Roma, mentre erano in corso le proteste studentesche, un gruppo di laureandi si è messo a manifestare proprio contro di lui, “colpevole”, secondo i manifestanti, di rappresentare la gioventù odierna in maniera stereotipata e superficiale: “L’anti-letteratura è qui”, recitavano i cartelli. “Mi è parso il sintomo di una certa perdita di credibilità – dice il regista – sono per la libertà e accetto la contestazione, inoltre non sono certo contro le proteste, ma solo se servono a qualcosa. Qual è il problema? La leggerezza dei miei film? Non necessariamente essere arrabbiati significa avere più chance per cambiare le cose. Insomma, quando si protesta così, lo si fa forse più per cercare attenzioni, è una perdita di tempo. I giovani dovrebbero seguire intuizioni più efficaci, gli dovrebbe essere d’esempio lo ‘stay hungry, stay foolish’ di Steve Jobs. Con tutti i problemi che ci sono, la crisi, il lavoro che manca. Per me non esiste un ‘pianeta Moccia’, queste cose mi fanno un po’ cadere le braccia e mi dispiace per chi le pensa. Come quando mi chiedono se i lucchetti a Ponte Milvio siano ‘di destra’ o ‘di sinistra’. Non so che rispondere”.
Eppure, gli universitari di oggi – ragazzini di ieri – dovrebbero essere proprio il pubblico ideale per questo film. “Non saprei – prosegue Moccia – non ci penso più di tanto. Mi pareva semplicemente il momento giusto per raccontare questa storia, cerco di fare film che piacciono a tutti. Ho visto gente di tutte le età alla proiezione di questo film come a quelle di Scusa ma ti chiamo amore: mamma, figlia e nonna che andavano al cinema insieme e uscivano tutte e tre innamorate, una perché si ricordava l’amore della sua gioventù, l’altra perché lo sognava, l’altra magari perché lo stava vivendo”.
Uno dei protagonisti (quello interpretato da Martinet) è iraniano: “La Roma degli ultimi anni ha una composizione diverse, più globale, ma non è che un modo come un altro per dare al lotto un pizzico di internazionalità. C’è lui come c’è la casertana che sogna di entrare nel Grande Fratello o la calabrese di buona famiglia, vengono da mondi diversi eppure s’incontrano. Come quand’ero piccolo: giocavo a pallone col figlio del benzinaio ma mica ci pensavo, che era il figlio del benzinaio. Era un bambino e basta. Il punto è che a tutti questi ragazzi manca in qualche modo un sostegno familiare, e la famiglia alla fine diventa il loro gruppo”.
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