VENEZIA – “Mio padre è nato a Lahore prima della divisione tra l’India e il Pakistan e anche se ci sono stata per la prima volta solo sei anni fa quella terra è parte di me, sui giornali se ne parla sempre come base del terrorismo, luogo di criminalità e corruzione, ma questo libro mi ha aperto una finestra”. Il libro è The Reluctant Fundamentalist e Mira Nair si è sentita la persona giusta per portare sullo schermo questo romanzo già tradotto in 25 lingue (in Italia lo pubblica Einaudi). Bestseller in parte autobiografico, perché l’autore, Mohsin Hamid, nato a Lahore, studente a Princeton e Harvard, per anni consulente a New York, si rispecchia quasi alla lettera nel personaggio di Changez (l’attore e rapper anglopakistano Riz Ahmed), un giovane intelligente e sensibile diviso tra due mondi che esplodono all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle. “La religione non è la chiave di lettura di questi conflitti, che riguardano piuttosto la politica e l’identità”, riflette lo scrittore, che ha portato sulla pagina il conflitto interiore di un uomo che non vuole aderire a nessuno dei fondamentalismi, né a quello occidentale del profitto né al terrorismo islamico.
Il film che inaugura questa Mostra di Venezia ne fa quasi una spy story, certo piuttosto farcita di luoghi comuni ma che ha sicuramente il giusto tasso di spettacolarità, senza contare che la 55enne regista indiana è una delle glorie di questo festival dove ha ricevuto dalla giuria presieduta da Nanni Moretti un Leone d’oro per Monsoon Wedding. E proprio nel fatidico 2001. “Il 9 settembre avevo vinto il premio a Venezia, l’11 mi trovavo al Festival di Toronto, felice e contenta. La notizia dell’attacco è stata uno shock per me che vivo a New York e che amo l’America. Per una settimana non sono riuscita a entrare in contatto con mio marito e con mio figlio né a tornare a casa. In quei momenti pensavo soprattutto alle persone che amo, ma anche al fatto che stava succedendo dietro casa quello che ero abituata a vedere in Asia”. L’11 settembre ha cambiato profondamente la sua prospettiva come quella di molti altri: “New York è una città multietnica, dove nessuno è straniero, ma improvvisamente alcune persone potevano essere il nemico”, dice ancora la regista. E’ quello che capita a Changez, analista finanziario in carriera a Wall Street e innamorato di un’artista di strada bella e sofisticata (Kate Hudson in versione mora e con qualche chilo in più). Ma da quel momento il sospetto si accende su di lui. La sua pelle, la barba e il suo passaporto lo espongono a perquisizioni degradanti e insulti, persino la fidanzata lo bolla come “pakistano” in un’istallazione. Fino all’incontro con un raffinato editore turco, la cui azienda, per nulla redditizia secondo i parametri del capitalismo aggressivo, Changez è chiamato a liquidare. E invece da quella conversazione – e dalla storia dei giannizzeri, quei bambini cristiani che venivano adottati dagli ottomani e allevati a uccidere i propri cari – nasce la decisione di tornare in Pakistan, alle proprie origini. Ma è una seconda conversazione con un giornalista americano che lavora per la Cia (Liev Schreiber) l’ossatura della storia. “Il loro è un dialogo tra Est e Ovest, tra due persone che sarebbero in relazione se non fosse per il clima politico che le separa”, dice ancora Mira Nair.
Di argomenti simili parlava My name is Khan, con la star di Bollywood Shah Ruhk Khan, grandissimo successo nel subcontinente indiano. Ma The Reluctant Fundamentalist si rivolge specialmente al pubblico americano e lì farà discutere. “Spero che sia accolto con la consapevolezza che è stato realizzato da persone che amano l’America, dove hanno studiato e dove vivono, persone che viaggiano tra due mondi. Bush diceva ‘o con noi o contro di noi’, ma c’è una terza via per chi supera i pregiudizi e rifiuta l’escalation di violenza che nasce dall’ignoranza dell’altro, anche molti americani sono stufi di questa escalation. Questo film è l’antidoto, la possibilità di guarigione”.
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