Un Dante solitario e taciturno scende all’inferno. Una famiglia di senzatetto vaga in cerca di una casa. Un numerologo cerca di interpretare la realtà – e la fantasia – come può. I magi portano la pittura, il teatro, la poesia, la musica, poi la filosofia. Il ghiaccio si scioglie, le gocce ticchettano. Il capostazione di una stazione fantasma (Sergio Rubini) ascolta frasi che risuonano dall’altoparlante: “Ogni rappresentazione è un mistero”. Sedici anni dopo Quijote, in cui recitava anche Lucio Dalla, l’artista Mimmo Paladino torna a creare un film unico, personalissimo, che unisce tante suggestioni artistiche in una nuova, originale, forma di espressione. Costruito come una sequenza di tableau che mescolano la Divina Commedia e il presepe, Pontormo e Glenn Gould, La divina cometa “è un film sull’arte e sul meccanismo creativo – suggerisce il co-sceneggiatore Maurizio Braucci – Miravamo a mescolare il popolare con la ricerca. Mimmo mi mandava i bozzetti a partire dall’Inferno. Con i grandi artisti devi avere fiducia, magari non capisci subito le loro intenzioni. Qui c’è un Dante afasico, senza parole davanti a un mondo complesso, orribile”.
Per portare a compimento il suo progetto, Mimmo Paladino ha chiamato intorno a sé un foltissimo gruppo di attori e artisti di vario genere, tra cui Nino D’Angelo, Elio De Capitani, Francesco De Gregori, Cristina Donadio, Alessandro Haber, Sergio Rubini, Peppe e Toni Servillo e Giovanni Veronesi. Il film è prodotto da Run Film e Nuovo Teatro con Rai Cinema e in collaborazione con Sky Arte, canale su cui prossimamente verrà proposto dopo questa presentazione alla Festa del Cinema di Roma nella sezione FreeStyle.
Paladino, tanti anni dopo Cervantes e Dalla, torna al cinema con Dante e De Gregori…
Sono passati 16 anni e da tempo avevo desiderio di fare di nuovo qualcosa col cinema. L’amicizia è alla base di tutto questo progetto. Anche in questo film c’è una coralità che non sarebbe stata possibile senza il mio afflato verso il mondo del cinema e del teatro, che frequento più di quello dei pittori. Amo il cinema perché è un mezzo molto versatile, con cui si può andare da Totò a Tarkovskij. È straordinario come il cinema possa parlare a tanti livelli di interpretazione.
Anche i numeri sono protagonisti de La divina cometa, perché?
Non si tratta della cabala né della tombola, sono numeri immaginari che danno una forma di identificazione improbabile. La famigliola cerca il numero 25 perché deve trovare una casa per la data di Natale.
Nel film vediamo Francesco De Gregori in una veste inedita.
È il magio che si è perso per ragioni produttive: non poteva girare con gli altri, ma ci voleva essere e mi ha dato il pretesto per inventare un altro magio. La tradizione ne vuole tre, forse sono quattro, io li ho fatti diventare cinque, con l’ultimo, quello della filosofia, raccattato in mezzo alle pecore. In tutto questo c’è un gioco di scrittura precedente fatto con Maurizio Braucci, poi integrato con l’improvvisazione. È un po’ come nella pittura: se mi cade una macchia ne faccio forse la ragione di un quadro.
Colpisce anche l’interpretazione di Giovanni Veronesi: è efficacissimo nei panni di Pontormo.
Conosco Giovanni da tanti anni, mi piace quello che fa e il modo in cui pensa. Essendo Pontormo toscano ho pensato a lui. Gli ho dato una traccia di sceneggiatura e lui si è liberato con molti volteggi, li inventava sul momento. Non smettevamo di girare, mi piaceva che continuasse quasi all’infinito.
Dopo Cervantes e Dante quale sarà il prossimo passo cinematografico?
Ora devo tornare ai pennelli, ma se ci fosse, mi piacerebbe pensare a un’altra figura altamente letteraria, di nuovo “scolpita”. Ci vuole un altro che si presti ad essere scolpito come Dante e Don Chisciotte.
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