“Quando sono stato negli Stati Uniti ho visto arrivare a Silicon Valley dall’India persone che cercavano lavoro e benessere, che aspiravano ad essere più felici, un po’ come fece mio padre lasciando il Sud per Torino. Questo bisogno primario di vivere bene la propria vita non va mai tradito, anzi protetto. Forse è un sogno, ma è sui sogni che si costruisce la realtà”.
Per raccontare questo diritto alla felicità da parte di chiunque, di qualsiasi condizione sociale, Mimmo Calopresti con La felicità non costa niente, suo quarto film, ha voluto parlare in prima persona, vestendo i panni di un architetto di successo. Sergio, con moglie/Fabrizia Sacchi e figlio affettuosi, con giovane amante/Valeria Solarino e amici solidali/Vincent Perez e Valeria Bruni Tedeschi, abbandona all’improvviso tutto e tutti, nauseato dell’ipocrisia dei rapporti di lavoro e familiari. Il suo è un viaggio interiore, tra il reale e l’irreale, un viaggio in completa solitudine, addolcita dall’incontro fugace con la donna idealizzata/Francesca Neri e dalla compagnia di Gianni/Peppe Servillo, un operaio semplice e nel contempo saggio. Dalla lunga notte Sergio tornerà alla luce su una terrazza romana, attorno a una tavola imbandita con accanto bambini felici.
La felicità non costa niente, una coproduzione italo-franco-svizzera, in collaborazione con Rai Cinema e Televisione svizzera italiana, in un primo tempo prevista per la Mostra di Venezia 2002, esce nelle sale il prossimo 31 gennaio distribuita in 25/30 copie dalla Lucky Red.
Le precedenti opere appartenevano al cinema della reticenza, qui invece il protagonista pensa ad alta voce. Perché questa svolta?
Ho messo da parte il pudore, che racchiude in sé forza e limite. Siccome il cinema illumina la vita e i luoghi, ho approfittato di questa luce. Il mio cinema si confronta sempre con le mie paure, ma questa volta non c’è stato timore di parlare sulla felicità, un tema che oggi sembra scandaloso e impossibile.
Perciò ha voluto, oltre che dirigere, interpretare il brillante architetto?
Ho preso la parola senza tante mediazioni, anche in modo prepotente. Sul set mi sentivo tranquillo rispetto al cast di attori e perciò in grado di restituire come attore l’immediatezza della vita, senza ricostruirla.
Il film è un atto d’accusa contro la società del profitto?
Una storia sulla felicità come idea di conquista di spazi di libertà. Libertà e felicità vanno di pari passo, la mia battaglia con la vita è legata a questo tema. E’ un film contro le regole che esistono e con le quali vanno fatti i conti. Chiunque ha il diritto di godere della vita, un diritto per il quale occorre combattere.
Ha scelto toni cupi per gli ambienti?
La fotografia non è livida, anzi la mia idea era quella di illuminare certi luoghi di Roma, dalla Fontana di Trevi all’Isola Tiberina, a piazza Vittorio, di mostrare questa città come l’ho vista di notte, un po’ da ospite, quando ho cominciato a viverla.
Mostra invece una Torino solare?
Rappresenta per me un ritorno a casa, anche se ormai non ci vivo più. La città sta cambiando eppure l’amo anche in questo suo disordine e incertezza del futuro, la trasformazione porta sempre con sé delle possibilità.
Il suo prossimo lavoro
Mi piacerebbe fare teatro, mi affascina questa idea “operaia” che si prova tutti i giorni, ma per il momento mi accontento di fare il produttore del debutto come regista di Valeria Bruni Tedeschi, originariamente Nel regno dei cieli, ma credo che il titolo sia cambiato.
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