MILCHO MANCHEVSKI


“Sarebbe fuori luogo se la critica si accanisse ancora a leggere Dust in senso politico, come metafora dell’attuale situazione balcanica. Forse a Venezia era un’aspettativa giustificata ma ora non più, dopo che Manchevski, ha chiarito le sue vere intenzioni con questo film”.
Suona forte e chiaro il messaggio di Domenico Procacci che di Dust (nelle sale italiane dal 5 aprile) è coproduttore insieme a Chris Auty e Vesna Jovanoska.
Ma ecco come il regista macedone (guarda il sito ufficiale) spiega il suo singolare “western ottomano” che guarda a Forman, Scorsese, agli spaghetti western e a Mad Max più che a John Wayne.
Una storia, interpretata da Joseph Fiennes (Shakespeare in Love)e David Wenham (The Bank), che gioca con i piani narrativi, gli archetipi del cinema e intreccia le dimensioni temporali della New York del 1945 e del 2000 (prima dell’11 settembre) con quelle della rivoluzione macedone d’inizio secolo.

Dopo “Before the Rain”, quanto hanno pesato le aspettative politiche su “Dust”?
Nella fase di preproduzione di Before the Rain pensavo di non girarlo in Macedonia perché non volevo che venisse associato alle vicende del popolo macedone. Ma non è andata così. Allora ho ambientato Dust nel passato anche per evitare interpretazioni politiche. Mi ha sorpreso che sia stato letto in questo senso. È come se qualcuno legasse Shindler’s List a ciò che accade oggi in Israele. Certo, chi aspetta di scoprire la realtà dei Balcani attraverso Dust rimarrà deluso. Ma non volevo fare un documentario stile CNN, il mio lavoro consiste nella manipolazione e in Dust lo comunico esplicitamente al fine di creare un’opera d’arte. Il mio è un film sulla condizione umana, sul desiderio, la fede, l’amore, che prescinde dai luoghi della storia. Non ha alcuna intenzione pedagogica. Detesto la politica: è la sublimazione del peggio dell’essere umano ma credo che sia possibile parlare di temi essenziali anche in modo non politico.

Domenico Procacci Al centro della storia c’è la relazione tra due fratelli…
Sì. Sono due personaggi diversi ma con molte similitudini. Luke è spregevole ma non può non piacere, Elijah è rispettabile ma non si può fare a meno di provare disgusto per lui. Questi personaggi mi attirano molto: sono quelli introvabili nel cinema “mainstream” hollywoodiano, perché Hollywood si preoccupa di predicare moralità per coprire la sua bancarotta morale.

Nelle note di produzione scrivi che “Dust” è un film cubista. Perché?
In Macedonia qualcuno ha definito il film “il Guernica macedone” e io parlo di filmaking cubista in riferimento all’approccio artistico. Prima di girare abbiamo fatto ricerche storiche in circa 180 libri e abbiamo scoperto fatti che vanno al di là di ogni immaginazione. Ma ho cercato di trasferire sul grande schermo il materiale storico in un modo molto più creativo e frammentario della mera trasposizione della realtà. In questo senso è cubista. Ho messo insieme la fine del West e l’Impero ottomano, gli arbori del cinema e quelli della psicoanalisi. Elementi di solito collocati in scompartimenti mentali separati. Mi interessava portare all’implosione i cliché che gravano sulla narrazione cinematografica e coinvolgere gli spettatori in questo gioco. E, come i cubisti, capisco che Dust possa irritare la petite bourgeoise.

Un commento sull’Oscar al bosniaco Danis Tanovic?
Non ho visto No Man’s Land e sarebbe piuttosto buffo parlare di un film senza conoscerlo.

autore
26 Marzo 2002

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