E’ durato quasi 20 anni l’inverno della dittatura del generale Augusto Pinochet che nel settembre 1973 mise fine al sogno riformista e socialista del legittimo governo di Salvador Allende. Un inverno rigido polare, senza sole e colori, come quello che vivono i ministri e gli uomini dell’entourage di Allende imprigionati e vessati dai militari nell’isola di Dawson, situata nella Terra del Fuoco sullo stretto Magellano. La storia di una resistenza al carnefice e all’oppressore, che li chiama per numero, raccontata nel libro “Isla 10” da un prigioniero eccellente, Sergio Bitar all’epoca ministro delle Politiche minerarie del governo Allende e oggi a capo del dicastero delle Opere pubbliche con il governo di Michelle Bachelet.
Un testimone importante che ha accompagnato al Festival di Roma il 67enne regista cileno Miguel Littin che dal suo libro autobiografico ha tratto il film in concorso Dawson, Isla 10. Un film di memoria che racconta l’isolamento e le condizioni estreme cui furono sottoposti i circa trenta collaboratori del governo di Unidad Popular di Allende e che si salvarono e furono liberati grazie alle pressioni dell’Onu, all’aiuto della Croce Rossa e all’interessamento di leader democratici come Ted Kennedy.
Un film, dove forte è il richiamo alla coerenza politica e all’eroismo di prigionieri che hanno resistito alla sopraffazione, come anche testimoniano le ultime parole del presidente Allende, che ascoltiamo e vediamo nel film grazie a materiali di repertorio, mentre i golpisti sferrano l’ultimo decisivo attacco al Palazzo del governo.
Un film prezioso, perché quella terribile vicenda non scivoli nell’oblio, non solo per le giovani generazioni ma anche per chi oggi ha 40/45 anni e allora era bambino. Un film che parla a coloro che in passato, in Europa e in America Latina hanno conosciuto e vissuto le dittature militari.
Quanto questa storia è conosciuta in Cile?
I campi di concentramento come quelli dell’isola di Dawson sono conosciuti. Meno nota come si svolgesse la vita durante la prigionia, quale fosse il vissuto personale dei detenuti politici e come essi riuscirono a uscire indenni. Così come non si conosce quanto l’humour rappresentasse un’arma per difendere la loro integrità e dignità.
La coerenza e la forza di volontà dei detenuti politici alla fine modificano i comportamenti dei militari?
Se pensassimo che la società si divide sempre in militari e civili, che le persone non cambiano mai, vorrebbe dire che non abbiamo futuro. Nel film l’atteggiamento dell’anziano comandante del campo può sembrare ambiguo, applicando la Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra, ma questo ruolo non faceva parte delle mansioni cui era destinato. Nell’isola era arrivato infatti come ingegnere agronomo.
Per una volta l’intelligenza ha dunque la meglio sulla forza?
Quei militari sono in un certo senso anche loro prigionieri su quell’isola, sono bloccati. Di fronte a loro hanno persone di cultura, professori, intellettuali che difendono in tutti i modi la loro identità messa a dura prova, che organizzano corsi e lezioni su argomenti vari. Alla fine i militari sono costretti a rivedere le loro tesi estremiste.
Come si è avvicinato al libro di Sergio Bitar?
Il rapporto tra cinema e letteratura è una relazione di infedeltà annunciata, tutti i registi non riproducono mai in modo letterale quel che hanno letto, ma sempre prendono una certa distanza dall’opera scritta. Anzi, paradosso, occorre essere infedeli al testo di partenza se si vuole rispettarlo.
Nel film appare di tanto in tanto il personaggio di un solitario e silenzioso abitante dell’isola. Rappresenta forse quel popolo cileno che deve per il momento rassegnarsi alla sconfitta di un sogno di emancipazione?
Quel contadino è parte dell’isola, come lo sono un albero o una roccia. E’ il popolo che sceglie e accetta di essere governato, ma a passi in avanti alterna passi indietro.
Lei sostiene che il presidente Allende sia stato ucciso durante l’assalto del palazzo della Moneda da parte dei golpisti?
Non accetto l’idea del suicidio come qualcuno sostiene, non ci sono prove. Comunque anche se fosse, il suo eroismo non è in discussione, nel senso che è stato spinto a dare la sua vita in difesa della volontà popolare. Compito di noi registi è quello di offrire elementi perché venga trovata la verità. Il cinema interviene così per riscrivere la Storia.
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