BERLINO E’ partito da Taranto armato di uno sguardo tenero e feroce allo stesso tempo e di una vocazione riconosciuta in giovanissima età. Oggi il trentunenne Michele Riondino è tra le 10 Shooting Star scelte dalla European Film Promotion tra i più promettenti attori del Vecchio Continente, catapultato tra i ghiacci berlinesi con un bagaglio di quattro film per il cinema realizzati e due in arrivo, e tanta paura mista ad eccitazione per l’exploit internazionale.
Preceduto alla Berlinale da colleghi come Jasmine Trinca, Alba Rohrwacher, Riccardo Scamarcio, Maya Sansa e Stefano Accorsi, Riondino è stato l’amico/nemico di Elio Germano in Il passato è una terra straniera, il protagonista di un amore a lungo negato per Isabella Ragonese in Dieci inverni, il boss della criminalità tarantina in Marpiccolo e il collega “maledetto” e autodistruttivo di Giancarlo Siani/Libero De Rienzo in Fortapasc. Ormai lanciata la carriera nazionale, il giovane attore pugliese si affaccia alla vetrina internazionale, in attesa che escano in sala Noi credevamo di Mario Martone e Henry di Alessandro Piva.
E’ stato scelto per rappresentare l’Italia alla Berlinale. Emozionato?
No, terrorizzato. Mi preoccupava molto il mio inglese scolastico e prima di venire qui sono stato un mese a Londra per perfezionarlo. Ora che sono a Berlino, tra l’altro per la prima volta, sono felicissimo per due motivi: perché sono orgoglioso di rappresentare il mio paese e perché ho trovato un ottimo ambiente, con colleghi molto simpatici e grandi occasioni per aprire la mia carriera a un percorso internazionale. Stiamo incontrando diversi produttori e casting director di vari paesi, e sembrano tutti molto interessati: ora sta a me approfittare di questa grande occasione.
Nel suo passato c’è tanto teatro, quanto è stato importante?
Moltissimo. Ho sempre voluto fare l’attore, tant’è che da piccolo mi divertivo a rifare le scene dei film davanti a mio fratello, e già a 15 anni ho fatto i miei primi laboratori teatrali a Taranto. Poi c’è stata l’Accademia e il lavoro con maestri del calibro di Patroni Griffi, Bellocchio, Baliani, ma l’incontro più importante è stato quello con Emma Dante. E’ stato a un suo spettacolo che Daniele Vicari mi ha notato e mi ha scelto come co-protagonista per Il passato è una terra straniera. Il teatro resta fondamentale, per me, anche nella preparazione dei film, e comunque non ho smesso né smetterò di farlo: a marzo andrò in scena al Teatro Vascello di Roma con “W Niatri”.
Qual è il regista italiano con cui le piacerebbe lavorare in futuro?
Sicuramente Matteo Garrone, perché non lavora tanto sulla sceneggiatura quanto sull’attore. L’imbalsamatore è un film grandioso, realizzato quasi senza copione. E poi vorrei tornare sul set di Daniele Vicari, a cui devo la mia prima esperienza importante sul grande schermo con un personaggio complesso che ha richiesto, appunto, una preparazione teatrale basata sull’improvvisazione. Con Daniele, tra l’altro, dovrei girare prossimamente un film sulla Diaz.
E l’attore italiano che ammira di più?
Sarà banale, ma è Gian Maria Volonté, un esempio di impegno morale e civile applicato al mestiere dell’attore… Tutte le storie a cui ha dato vita erano caratterizzate da un senso di urgenza e necessità, qualcosa che abbiamo un po’ perso nel nostro cinema di oggi. Ma ci sono anche tanti giovani attori che ammiro, come quelli del film Romanzo criminale: di certo il problema del cinema italiano non è il parco attori!
Tra poco uscirà “Noi credevamo” di Mario Martone. Qual è il suo personaggio nel film?
E’ il figlio di uno dei protagonisti, che nasce e muore in corrispondenza dell’inizio e della fine del film coprendo trent’anni fondamentali per la storia italiana nel momento della sua unificazione. Alla fine della pellicola lo si vede cresciuto e diventato soldato dell’esercito regolare, ma diserterà per unirsi a Garibaldi. Noi credevamo uscirà in primavera, e si parla di una partecipazione al Festival di Cannes.
In quali altri ruoli la vedremo prossimamente?
A marzo inizio a girare una fiction diretta da Renato De Maria accanto a Riccardo Scamarcio, sarò il figlio di un boss mafioso che rifiuta di seguire le orme paterne e le logiche criminali per diventare un imprenditore “pulito”, con tutti i dubbi che ne conseguono. E poi presto uscirà Henry, di Alessandro Piva, una tragicommedia che ruota attorno a un duplice omicidio e alla droga, in cui sono un cineoperatore che usa l’eroina in modo “domestico”, per mettere un po’ di pepe nel rapporto con la sua compagna.
Ha fatto spesso ruoli da “maledetto”, le piacerebbe cambiare strada e interpretare una commedia?
Sì, perché amo cambiare timbro e genere e so che ho corso il rischio di rimanere incastrato nei ruoli da cattivo, anche se poi per fortuna Dieci inverni mi ha permesso di mostrare un altro volto. La commedia rispecchia i miei ritmi recitativi a teatro, e la farei volentieri se mi venisse proposto un personaggio interessante, ma in realtà mi diverto anche a fare il cattivo.
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