COURMAYEUR – Michele Riondino, “spirito noir”. E’ così che l’ha eletto il Noir in Festival, che in questa 21/a edizione inaugura l’iniziativa “Zucca Spirito Noir Collection” organizzata con lo sponsor Rabarbaro Zucca e che ha nominato l’attore padrino di un concorso per racconti di genere. D’altronde Riondino, tra i giovani interpreti nostrani, è quello che più di tutti ha frequentato le atmosfere oscure, a partire dall’esordio con Il passato è una terra straniera, e continuando con Fortapasc e Mar piccolo. Per non parlare del fatto che nel 2012 lo vedremo in tv nei panni del giovane Montalbano. Ma qui a Courmayeur le domande sul commissario in versione “pivellino” sono rigorosamente vietate. L’attore però non si risparmia su tutto il resto.
Tu hai frequentato molto il noir nei tuoi film. Secondo te cosa rende questo genere così amato dal pubblico?
Il fatto di non essere precisamente definibile. Il noir è un contenitore molto ampio di storie diverse che possono rifarsi alla nostra quotidianità. Trattare materie forti come la crisi, l’apocalisse predetta dai maya o le stragi nelle scuole attraendo molto gli spettatori. A differenza del giallo, che ha sempre una soluzione e in cui alla fine resta tutto uguale, nel noir il delitto modifica la realtà.
Nel nostro cinema secondo te c’è spazio per questo genere?
C’è sete di noir, ma non spazio per il noir. Io ho debuttato con un personaggio noir ne Il passato è una terra straniera, e mi sono reso conto che questo genere dà all’attore la possibilità di far leva sul non realismo, mentre di solito nei film italiani ci chiedono sempre di essere realistici e di attingere alla nostra esperienza. E’ bellissimo poter inventare un carattere, una maschera lontana da te: è un banco di prova impegnativo. Io, poi, cerco di non giudicare mai i miei personaggi, anche se sono degli stupratori e si sono macchiati dei delitti più turpi.
Presto ti vedremo sullo schermo in Acciaio, tratto dal romanzo omonimo. Che personaggio è il tuo?
Sono Alessio, il ragazzo che muore sul lavoro alla fine del film. Per questo ruolo è stato importante aver letto il libro ancor prima di sapere che sarebbe diventato un film, ma intuendolo subito. E’ il classico personaggio che aderisce all’attore perché c’è molto del mio vissuto. Io sono nato vicino all’Ilva di Taranto e sono molto critico sulla gestione di quella fabbrica. Mentre ho trovato un mondo molto diverso a Piombino con la Lucchini. A Taranto l’Ilva ha deturpato il territorio ed è stata gestita “dall’alto”, a Piombino la fabbrica fa parte della storia, è amata dalla popolazione, e anche il mio personaggio ama il suo lavoro, anche se è usurante e rischioso.
Ti piacerebbe scrivere tu stesso una storia per un film? E magari farne la regia?
Amo scrivere ma non mi sento molto in grado. Per i ruoli mi documento, raccolgo materiale e poi butto giù una biografia del mio personaggio, ma non sarei capace di scrivere una storia intera. Quanto alla regia mi sento pronto per il teatro, ma per il cinema non lo sarò mai, è una responsabilità troppo grossa.
Ci sono dei film che non si possono fare in Italia?
Molte sceneggiature si piegano al vizio dello spettatore medio italiano, ma dovremmo avere il coraggio di essere più liberi. Forse dovremmo passare per una crisi ancora peggiore di quella in atto: oggi se un produttore fa cinque film “liberi” il risultato è una crisi di botteghino. In questo caso bisognerebbe avere la possibilità di continuare ed ‘educare’ lo spettatore.
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