Fortezza Bastiani: il titolo parla da sé. Michele Mellara e Alessandro Rossi, i due registi esordienti, lo hanno preso in prestito dal nome del fortino dove viene spedito Giovan Battista Drogo. Lì, ai confini col nulla il famoso tenente de Il deserto dei tartari, aspetta l’arrivo di un nemico che non arriva. Proprio lì, il personaggio solitario creato da Dino Buzzati, sviluppa un sentimento di estremo isolamento. E anche un senso di claustrofobia che s’accompagna a necessarie prove di sopravvivenza.
I personaggi del film, un gruppo di studenti universitari quasi trentenni alle prese con gli ultimi esami, forse hanno le stesse sensazioni del tenente. Con loro Bologna, la città in cui vivono e studiano, è ingenerosa. E anche l’università, quell’edificio medievale dove si misura giorno per giorno il degrado del rapporto studente-professore. Ecco perché questi studenti chiamano la loro casa Fortezza Bastiani. Tra queste quattro mura chiuse, illuminate con tagli esterni come fossero carceri, il gruppetto sviluppa un clima di solidarietà, crea una società di mutuo soccorso. Il film, ora in fase di post-produzione, è un articolo 8 prodotto da Tommaso Dazzi per la Nauta Film, con un budget di 2 miliardi.
Oltre a realizzare il film avete scritto la sceneggiatura, vincitrice del premio Solinas nel ’99…
Sì. Lo stesso anno di Paolo Sorrentino, il regista de L’uomo in più. E’ stata un’ottima occasione per confrontarsi con gente del nostro mestiere. Le occasioni sono poche e lo scambio di idee è importante. Il Premio Solinas ha il pregio di essere un banco di prova per tutti, anche per coloro che, con una preparazione del tutto personale, si vogliono avvicinare al cinema. La scrittura in parte s’insegna, ma determinante è il talento, che deve essere valutato. Comunque tra i nostri modelli vi sono due registi inglesi: Mike Leigh e Michael Winterbottom.
Che genere di film è il vostro?
Una commedia dai toni tragicomici, un film corale che segue le vicende di tutti i coinquilini con una narrazione abbastanza lineare. C’è molto umorismo e ironia nel raccontare la vita universitaria. Si racconta la città con i loro occhi. Bologna riceve 1000 miliardi di indotto l’anno dai 100mila fuorisede presenti sul territorio, eppure è capace di disprezzarli.
Ma la realtà di Bologna, universitaria per antonomasia, è particolare…
La frustrazione e la conseguente indignazione dello studente universitario si trova ovunque. Tolstoj dice: “Scrivi del tuo villaggio e sarai universale”.
Come avete lavorato sul set?
Abbiamo cercato una coesione con il gruppo di lavoro. Non abbiamo puntato alla qualità recitativa del singolo attore, ma agli incastri possibili. Perciò abbiamo modificato la sceneggiatura in fase di lavorazione. Come direttore della fotografia abbiamo scelto Federico Schlatter, lo stesso di Amorestremo.
A chi avete affidato la colonna sonora?
A Gabriele Ceci, il fondatore dei Massimo Volume che ora è impegnato nella composizione di colonne musicali. Gabriele ha scritto la musica anche di Almost blue di Alex Infascelli. Il montaggio invece è stato curato da Valentina Girodo, la stessa di Almost blue, Tutta la conoscenza del mondo e Una vita non violenta.
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