MICHELE MELLARA ALESSANDRO ROSSI


“Dopo i poliziotti e i preti lo studente è l’essere universalmente più disprezzato”. Le parole del situazionista Guy Debord campeggiano sulla locandina a tinte acide di Fortezza Bastiani, l’opera prima di Michele Mellara e Alessandro Rossi, registi bolognesi con anni di esperienza nel teatro sperimentale, vincitori del Premio Solinas 1999 per la sceneggiatura.
Con un mix riuscito tra camera fissa e a spalla i registi mostrano un microcosmo della grassa Bologna composta da studenti al termine del percorso accademico. Abitano un appartamento, caotica stratificazione di libri, locandine, volantini, bottiglie vuote, piatti sporchi, calzini e strumenti musicali, ribattezzato Fortezza Bastiani in omaggio al Deserto dei Tartari di Dino Buzzati.
Come chi passa la vita ad aspettare un nemico che non arriva, i ragazzi vivono tra code alla mensa, esami grotteschi, ricerca di professori perennemente assenti, sbronze collettive e droghe leggere, frustrazioni e speranze, in una città teatro di una battaglia mancata, sul trampolino di lancio verso un mondo esterno ostile e pieno di compromessi.
Il film, dedicato allo sceneggiatore Leo Benvenuti e interpretato, tra gli altri, da Duccio Giordano, Francesca Magrefi, Giuseppe Gandini e Denis Fasolo, uscirà a Bologna il 25 ottobre distribuito da Lantia, ma con un divieto ai minori di 14 anni che ha stupito gli autori. E non solo loro.

Perché un film sulla Bologna studentesca?
Michele Mellara L’idea nasce dalla frequentazione del mondo universitario della città. I ragazzi formano una tribù in cui ognuno cerca di reinventare la propria identità. Credono ancora in una dimensione comunitaria, ma soffrono anche la claustrofobia di un ambiente chiuso, autorefenziale che, come dice una delle protagoniste alle fine, non consente di leggere quel che accade fuori.
Alessandro Rossi La città è una fucina che difficilmente riesce a conservare ciò che crea, in cui c’è un ricambio continuo di persone ma tutto è evanescente. Un predicatore nel film afferma che “Bologna è un’ovatta che addormenta”, una città in cui sembra che accadano grandi cose ma nulla cambia davvero. Eppure questi personaggi, amari e non consolatori, mantengono vivi i germi della critica, anche quando la Fortezza si sgretola.

Il vostro sguardo si sofferma spesso sulla collezione di orologi di Benna, uno dei protagonisti
M.M. Il nostro è un film corale in cui Benna è il perno maschile. E’ uno studente fuori corso, un militante, un lettore onnivoro ancora mantenuto dai genitori. Vive un profondo conflitto tra idealismo e realtà, senza riuscire a capitalizzare il tempo. Questa è la sua ossessione che si manifesta attraverso la collezione, ma il tempo che sfugge e non permette di concretizzare i sogni riguarda tutti i personaggi.

Il film è stato vietato ai minori di 14 anni. Con quali motivazioni?
M.M. L’eccesso di hashish consumato nel film e la gambizzazione di un professore. Ma ci sembra fuori luogo perché il consumo di droghe leggere è del tutto comune tra i giovani e ci sembrava giusto metterlo in scena in una pellicola che non è zuccherosa né edulcorata.
A.R. La censura ci ha sorpreso. Forse ha dato fastidio la rappresentazione di un’accademia corrotta e sclerotizzata. Poi l’episodio di una pallottola che colpisce un professore, perlopiù nel sogno di uno studente esasperato, è meno violento della media delle immagini televisive o cinematografiche.

I personaggi vivono nell’humus culturale movimentista.
A.R. Abbiamo cercato di coinvolgere il più possibile la città e il suo mondo attoriale. Con alcune realtà, come Radio Città del Capo che fa spesso da sottofondo alla vita dell’appartamento, e il Teatro Polivalente Occupato, c’è stata una relazione creativa. Lo spettacolo portato in scena da alcuni personaggi del film è stato realmente realizzato al TPO.

autore
22 Ottobre 2002

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