Cinecittà Diritti, nata lo scorso luglio, ha come obiettivo la gestione del patrimonio dei diritti filmici derivante dalle agevolazioni statali concesse nel corso degli anni per produzioni di interesse nazionale e culturale. In attesa del perfezionamento dei decreti attuativi, Cinecittà Diritti sta svolgendo, per conto di Cinecittà Holding, un lavoro di censimento e di catalogazione di questi diritti.
Presidente della neonata società, di cui sono consiglieri Alessandro Usai e Antonio Breschi, è Michele Lo Foco che oltre a far parte del Cda di Cinecittà Holding e di Rainet, da lungo tempo s’occupa sul versante legale di problematiche cinematografiche.
Come nasce Cinecittà Diritti?
In tanti decenni lo Stato è stato partecipe della produzione di film in varie forme agevolative che sono andate aumentando dal ’94 in poi. Il risultato di questa partecipazione non era stato ottimale a livello di recuperi, ma soprattutto non aveva sortito una titolarità specifica da parte dello Stato dei diritti dei film a cui aveva partecipato come socio occulto o silenzioso. Era come se in questo lungo tempo quei diritti fossero diventati ‘res nullius’, nel senso che erano rappresentati da un negativo o erano rimasti, per una forma d’inerzia burocratica, nella disponibilità del produttore o di un curatore fallimentare con vicende alterne. Questa situazione è sembrata a un ministro attento uno spreco di energie e necessaria di un intervento di riordino. Così il legislatore ha pensato più industrialmente a questa struttura.
Quanti sono i titoli rimasti nella totale disponibilità dello Stato?
Circa 500 sono i film dell’articolo 28 che hanno usufruito della norma, introdotta alla fine degli anni ’80, che prevedeva, con la consegna del negativo alla Cineteca di Stato e quindi trasferendo la proprietà dei diritti, la cancellazione del debito contratto con la sezione autonoma del credito cinematografico. La Banca Nazionale del Lavoro aveva infatti predisposto istanza di fallimento nei confronti di numerose cooperative o società in forma cooperativistica che non restituirono i finanziamenti. Tra i titoli più interessanti: Marrakech Express di Salvatores, La stazione di Rubini, Come due coccodrilli di Campiotti, Romance di Mazzucco, La vacanza di Brass, Morte di un matematico napoletano di Martone.
E per il periodo relativo al Fondo di garanzia, entrato in vigore nel ’94?
Sono non meno di 500 i film di cui lo Stato possiede i diritti. Il Fondo di garanzia ha esaltato il concetto culturale, dando maggior rilevanza all’aspetto autoriale del prodotto. In alcuni anni ha rappresentato fino al 65% della produzione nazionale, con meccanismi che sono stati spesso oggetto di critiche. E le risorse investite dallo Stato sono state maggiori: la media degli interventi per l’articolo 28 era di 250mila euro, per il Fondo garanzia intorno ai 2 milioni di euro.
Prevedibile allora un rivalutazione editoriale di questi film?
Grazie al monitoraggio in corso, Cinecittà Diritti punta oltre che a una rinnovata energia commerciale, alla valorizzazione di elementi allora non ancora presenti o visibili. Come attori e autori che nel frattempo hanno ottenuto un successo meritato, o come registi che erano al loro debutto. Del resto è interesse dello Stato, in quanto titolare di opere d’arte che, anziché giacere in scantinati, siano valorizzate. E’ nel suo interesse rimetterle in ordine, farle circolare, così come può accadere per un prodotto filmico.
E i proventi economici a chi andranno?
Tutte le risorse che si ricaveranno da questi diritti torneranno nella disponibilità del Fondo e dunque ai produttori. Cinecittà Diritti è del resto uno strumento per favorire di nuovo la produzione di film. Com’era giusto immaginare un fondo rotativo, cioè che potesse agevolare la produzione e nel contempo ottenere rotativamente dei rientri, fino quasi ad autoalimentarsi.
E’ possibile fare un primo bilancio di Cinecittà Diritti?
Prima di concludere il monitoraggio è prematuro, potrebbe essere riduttivo o ottimistico.
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