“Ebbi le idee chiare molto presto. Avevo visto cosa era il cinema osservando la carriera di mio padre, Luciano Emmer. Decisi che volevo fare il matematico e non il regista”. Parla Michele Emmer, matematico cineasta, autore di film scientifici di animazione come Il mondo fantastico di M.C. Escher, Bolle di sapone e altri. A lui questa 22/a edizione di Bellaria Film Festival dedica una restrospettiva comprensiva di opere come Flatlandia, Clerici e Mozart ed El Lissitsky. Esploratore durante gli anni ’70 di un’animazione ancora non computerizzata, lontana dai percorsi di Luciano, Michele Emmer dice: “Se non avessi avuto a disposizione il materiale di mio padre, non avrei mai potuto intraprendere questa attività parallela”.
Come ha iniziato a girare film?
Avevo lavorato come matematico sulle bolle di sapone, un campo di ricerca in Italia appena conosciuto. Da lì volli realizzare un film. Per quell’avventura chiamai Arnaldo Pomodoro. Andando avanti ho portato a termine 18 opere.
Chi la finanziava?
La Rai e la società di mio padre, la Film 7 International, ma ho sempre speso poco. Mi facevo spesso invitare dalle Università del luogo dove dovevo realizzare le riprese. Facevo il fonico. Il mio collaboratore era Roberto Bianchi, capo animazione in film come Flatlandia ed Escher. In seguito ho imparato a fare animazione da solo, come nel caso di Clerici e Mozart.
Che tipo di animazione è quella usata in “Il mondo fantastico di Escher”?
Scattavo fotografie a grandezza naturale di tutti i disegni presenti al Gemeentenmuseum dell’Aja. Realizzavo l’animazione con la tecnica a passo uno, utilizzando una truka verticale, una macchina da presa per effetti speciali. Si parte dalle fine del movimento e si procede a togliere; una media di 30-35 fogli uno sopra l’altro che toglievo di volta in volta per dare l’effetto del disegno animato. Ad ogni modo, nel filmato è contenuta una tra le prime animazioni al computer mai realizzate: la scala impossibile dei matematici Penrose realizzata dalla Bell Laboratories negli anni ’60. Inserii la sequenza con l’autorizzazione degli autori.
Con “Flatlandia” seguì delle tecniche del tutto diverse.
In quel caso ripresi oggetti reali tridimensionali sullo sfondo di un piccolo teatro di 1 metro x 1 metro con una superficie curva. Per spostare gli oggetti, triangoli, quadrati, rombi e così via, usavamo piccoli bacchette di vetro. Ho impiegato 8 anni per terminare Flatlandia. Gli oggetti erano di perpex, un materiale plastico comune, delle grandezza media di 3 millimetri. Per effettuare le riprese usavo uno zoom misurato in millimetri. Tenevo fogli e fogli con i conti di qualsiasi movimento realizzato in scena.
A chi si rivolgeva quando realizzava queste opere?
Evitavo intenti didattico pedagogici e non entravo neanche in scena. Appaio solo nel film su Escher, perché fu la Rai a chiedermelo. Mi presi un po’ gioco di loro apparendo una volta con la barba e la volta successiva senza. Neanche se ne accorsero. Ma i miei film cercavano di parlare a tutti: Il mondo fantastico di Escher ha venduto 70 mila copie nei soli Stati Uniti.
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