Micaela Ramazzotti: “La felicità di diventare regista”

L'attrice debutta dietro la macchina da presa con l’opera prima Felicità, di cui è anche protagonista insieme a Max Tortora, Anna Galiena, Sergio Rubini. L'abbiamo incontrata a Giffoni


GIFFONI VALLE PIANA – In oltre vent’anni di carriera Micaela Ramazzotti si è sempre affidata e fidata dei registi che l’hanno diretta. Ora ha deciso di debuttare lei stessa dietro la macchina da presa con l’opera prima Felicità, di cui è anche protagonista insieme a Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti e Sergio Rubini.

“Ho sentito che era arrivato il momento di fare questo passo”, ha raccontato l’attrice al Giffoni Film Festival, al fianco della figlia Anna, 9 anni, prima rispondendo alle domande della stampa, poi a quelle dei ragazzi in una sala Truffaut gremita. Ai giovani, prima di ricevere il Giffoni Award, ha detto di essere un amante di Cassavetes, Lars von Trier e anche dei cinepanettoni, di avere “una grande ammirazione per l’umanità” ed è per quello che ha sempre cercato nel suo lavoro di “dar voce a donne storte, trascurate dalla vita”.

Micaela, questa edizione è dedicata agli invisibili. E lei ha avuto modo di raccontarli spesso al cinema.

Mi sono sempre interessate donne storte che vivono in mondi subalterni di sfruttamento, in contesti sociali complessi, che hanno vissuto nella trascuratezza. Ho sempre amato dar luce a personaggi che soffrono e cercano di sopravvivere in un mondo così agguerrito.

E lei si è mai sentita così, invisibile?

Non dovremmo sentirci mai così. Ma la vita è fatta di onde e dovremmo combattere questo demone che ci può entrare nella testa e dare sofferenza e inadeguatezza. Quando ho avuto dei momenti così, ho cercato di lavorarci e ho spostato l’attenzione sugli altri cercando di tornare a volermi bene.

Tra le sue interpretazioni memorabili c’è La pazza gioia. Cosa ha significato per lei quel film?

È un pezzo di me. È un film che amo moltissimo. Ho cercato di rendere giustizia al personaggio di Donatella, una creatura vulnerabile cresciuta nella trascuratezza familiare. Oggi penso di lei che finalmente ce l’abbia fatta e che sia riuscita a recuperare il rapporto con il figlio (scoppia in lacrime, ndr). Questo film mi tocca molto ancora oggi.

Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione nel cinema verso lo sguardo femminile. Da attrice lei è passata alla scrittura e alla regia. Avverte anche lei un cambiamento importante?

La situazione nel mondo del cinema si sta evolvendo. Stiamo vivendo un momento storico importante. Noi attrici, sceneggiatrici e registe stiamo avendo grandi opportunità, come le donne nello spettacolo in generale. C’è un’ondata molto forte di protagoniste femminili e sono orgogliosa di farne parte. Credo, invece, bisognerebbe ricordarci di più delle donne sfruttate nel lavoro, sottopagate, che non hanno le nostre stesse possibilità.

Da dove nasce il desiderio di una regia?

Ho scritto Felicità con altre due sceneggiatrici e amiche (Isabella Cecchi e Alessandra Guidi). Ho sentito che era arrivato il momento giusto per fare questo passo. E devo ringraziare per la fiducia chi si è affidato a me. Mi sono voluta anche mettere in scena. È stato un triplo salto mortale.

Perché ha scelto come titolo Felicità?

È beffardo. La felicità è una parola semplice e diretta da ricordare, ma è anche inquietante. Quando la sento mi fa venire in mente anche l’infelicità. Perché è difficile essere felici.

La vedremo anche nel prossimo film di Michele Placido, L’ombra di Caravaggio. Chi interpreta?

Sono la musa ispiratrice di Caravaggio, Lena Antonietti. Una prostituta che Caravaggio incontra per strada con una bambina in braccio e di cui si innamora vedendo in lei la Madonna. La grande forza di Caravaggio era proprio quella di vedere in persone storte, ubriaconi, prostitute, delle anime meravigliose. Per lui un clochard diventava Cristo, una prostituta una santa.

Sta girando una serie per Disney+, The Good Mothers, dove è una madre che vive in un condizione difficile a causa della ‘Ndrangheta.

Ho cercato di riportare giustizia in questo personaggio, una donna realmente esistita che lotta non solo per se stessa. Sono stata felice di essere diretta da una regista come Julian Jarrold e di essere tornata a lavorare con Elisa Amoruso dopo Maledetta primavera.

Chi fa il suo mestiere può essere soggetto anche a critiche. Lei come le vive?

Le accolgo, anche se non mi lasciano indifferente. Valuto sempre da chi arrivano e quando c’è una critica costruttiva per me è comunque una crescita e mi porta a riflettere sul mio lavoro.

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