Sergio Rubini: “Cinema italiano, non solo quantità”

Tra i progetti futuri dell'attore e regista il sequel del film sui fratelli De Filippo e una serie per la Rai su un importante poeta ottocentesco ​


GIFFONI VALLE PIANA – “Il cinema italiano è vivo. Ed è importante che ci continui ad offrire il modo per continuare a sognare”. Sergio Rubini arriva al 52° Giffoni Film Festival per incontrare i ragazzi e rispondere alle loro domande, cogliendo l’occasione per parlare con la stampa dello stato attuale della settima arte, di come si stiano evolvendo le forme di espressione nel cinema e del suo futuro artistico, tra il sequel del film sui fratelli De Filippo e una serie per la Rai su un importante poeta ottocentesco.

Rubini, il direttore della Mostra di Venezia, Alberto Barbera, presentando la 79esima edizione del festival ha detto “il cinema italiano si basa più sulla quantità che sulla qualità”. Cosa ne pensa?

Ha ragione quando dice che si fa più per quantità. Io distinguo, però, tra produttori e artisti. Perché i primi fanno film per i numeri, anche per via del tax credit. Gli attori e i registi li fanno perché hanno la necessità di esprimere la propria idea sul mondo, perché vogliono raccontarsi.

Qual è lo stato del cinema italiano secondo lei?

Per me il cinema è vivo, e i giovani lo dimostrano chiedendoci storie. La sala è in crisi, come tanti altri luoghi della socialità. Ma il cinema non lo è. Si sta evolvendo in altri formati. Quando i vinili non si sono fatti più, non è morta la musica. Certo stanno cambiando i supporti con cui si fruiscono i film, in base anche alla tecnologia. Il problema è che dovremmo uscire da questo sistema di algoritmi. Abbiamo costruito un mostro come Frankenstein e dobbiamo farne i conti cercando di umanizzarlo. Solo così riusciremo a viverlo meglio. Il problema sono le politiche che ruotano intorno al cinema, i tax credit, il fatto che Netflix che non paga le tasse e ha ricevuto una multa di 56 milioni di euro, poi si possa sedere nel salotto dell’Anica. Bisognerebbe regolamentare il tutto. C’è una vera e propria colonizzazione della nostra cultura, che invece va difesa.

Quanto vale la parola nel mondo di oggi?

La parola per me è un impegno, che si prende con gli altri e con noi stessi. Ci raccontiamo attraverso le parole, ma viviamo in una società in cui purtroppo contano poco, si perdono nella velocità, mentre dovrebbero essere pietra. Io le uso nei miei film. Tra detto e non detto, il secondo ha a che fare con la vigliaccheria.

In una storia quanto conta il lieto fine?

Il lieto fine ha a che fare con il sogno e ne abbiamo bisogno più che mai in questo momento per costruire un futuro possibile, per non essere condannati a vivere in un presente che ci rende insoddisfatti.

Il suo ultimo film I fratelli De Filippo è stato un successo. Ci sarà un sequel?

Ho già finito di scriverlo. Ora attendo che il produttore si faccia vivo e poi sarò pronto per girarlo. Intanto sto lavorando a una serie sempre per la Rai su un importante poeta dell’Ottocento. Lo sto facendo con grande orgoglio. C’è chi pensa che la Rai sia solo un vecchio cappotto che abbiamo già utilizzato più volte e invece è lo specchio di ciò che siamo, è il nostro Dna e lo dobbiamo utilizzare al meglio.

Pochi giorni fa è stata al Giffoni anche Micaela Ramazzotti che l’ha diretta nel film Felicità.

Ho trovato la sceneggiatura bellissima, molto autentica. Micaela ha scritto questa storia a cuore aperto. Lei è una persona speciale, anche recitarle accanto è stato meraviglioso. Mi aspetto molto da questo suo primo film da regista, penso che meriti tantissimo.

Ma di suoi film in uscita ce ne sono altri.

Sarò anche in Educazione fisica di Stefano Cipani, con la sceneggiatura dei fratelli D’Innocenzo. Sto lavorando tanto in questo periodo. Mi ritengo un artista felice, ma sempre pieno di dubbi. Vivo in una perenne instabilità. Ma l’ho accettata perché fa parte del mio mestiere avere mille interrogativi.

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