TRENTO – La storia s’infuoca tra i monti e le steppe della Sardegna, un luogo con un’identità senza tempo, in cui un dio, un santo, forse un antico uomo, insegue un maialino incontrato tra i cespugli. Il 17 gennaio sull’isola si stanno preparando le feste dedicate al fuoco. Un artigiano forgia quella che sembra solo una maschera ma è in realtà lo strumento di connessione con un altrove. Quell’uomo arcaico compie lo stesso gesto della leggenda di Sant’Antonio abate o di Prometeo: consegna il fuoco agli uomini.
Con Marco Rinicella, Francesco Mescolini è co-autore del cortometraggio animato Fogu – sezione Terre Alte del 71° Trento Film Festival: insieme hanno fondato la casa di animazione “TALÈ disegno animato”.
Francesco, Fogu ha il sapore della leggenda come del credo religioso, c’è una Fede che palpita, sia essa pagana o meno. Da dove arriva questa storia e perché l’avete scelta/scritta?
Viene da quello che noi ci proponiamo di fare con gli antichi riti e tradizioni che caratterizzano un po’ i popoli, per adesso dell’Italia, poi chissà. È una cosa che ci interessa perché sia Marco che io siamo legati ciascuno al proprio territorio e troviamo una forte carica espressiva in queste modalità di racconto locale che sono poi un tentativo di connettersi con la natura e il mistero del senso delle cose. Ci affascina molto tutto questo e pensiamo che attraverso l’animazione possa essere reso attuale. La storia ci aveva colpito per la sua potenza espressiva, che ritrovavamo nelle maschere dei Mamuthones, delle antiche feste sarde, e allo stesso tempo c’è anche una sorta di benedizione della forza del fuoco, che non è solo portatore di distruzione ma diventa il punto aggregatore, che nel passato accomunava le persone, che lì intorno trovavano il modo di raccontare e inventare storie.
Perché pensate che l’animazione sia il linguaggio più efficace per questo tipo di racconto? Quali peculiarità artistiche e tecniche ha la vostra animazione? Ci sono influenze derivate da altre arti?
Sicuramente l’illustrazione è qualcosa che ci è molto cara, dopoché il documentario, soprattutto di alcuni grandi documentaristi, come Vittorio De Seta e Fiorenzo Serra, lui il primo a documentare questi riti, con quel tipo di documentario preso sul momento, questo ci ha condizionati completamente, tanto che la tecnica che utilizziamo, il rotoscoping, si propone di dipingere in alcune parti proprio sopra i frame video. L’animazione è una scelta di passione: Gianluigi Toccafondo, che è stato nostro professore all’Isia di Urbino, ci ha aperto un mondo, nel momento in cui l’abbiamo incontrato: dopodiché, crediamo che il semplice documentario oggi abbia ancora una sua forza ma noi avvertiamo l’esigenza da disegnatori, illustratori, animatori, di unire le cose; allo stesso tempo ci affascina molto il mescolare le varie Arti. Un pensiero su cui spesso ragiono, ma che condivido anche con Marco, è che una nuova rinascita dell’arte sarebbe possibile nell’unione delle Arti: crediamo che la potenza delle Arti, dalla musica alla poesia, con il movimento, potrebbero far tornare centrale l’espressione artistica dell’uomo.
E la montagna, che soggetto è per il cinema d’animazione? Per la realizzazione del paesaggio montano del vostro film che tipo di lavoro visivo e tecnico avete portato avanti?
Abbiamo appunto guardato i documentari di Fiorenzo Serra, con quel suo filtro artigianale, in cui la luce cambia, è quasi ‘mangiata’, decisamente autentica, senza filtri o colorazioni ulteriori, e guardando questa presa diretta di quei luoghi abbiamo tentato di trasformali in toni che si differenziano da una parte all’altra delle scene: c’è una parte in cui il luogo diviene molto erboso, quasi selvaggio, espressione di un tempo antico, per cui abbiamo lavorato in maniera quasi surreale sul paesaggio; allo stesso tempo, il paesaggio cambia, entra ancor più dentro il paese, e lì i colori diventano più simili a quelli sardi, con l’arancio e il rosso. Questo è stato l’approccio e ci siamo ripromessi, nei prossimi lavori, di avere uno sguardo ancor più contemplativo sul paesaggio.
Fogu è un corto: la brevità di racconto – sia da un punto di vista narrativo che tecnico – che tipo di valore aggiunto restituisce a una storia come la vostra?
Secondo noi può diventare uno spunto. Per conoscere questi luoghi e tradizioni è necessario di più, studiare di più: il punto è partire da una cosa breve, che ti mostri sia la visione dell’autore che in parte qualcosa di quella tradizione, per poi andare oltre e imparare a approfondire.
Altra scelta per Fogu: non usare il parlato. Perché?
L’abbiamo pensato senza dialoghi forse anche per qualcosa di personale: io sono molto innamorato dei film di Sergio Leone con le musiche di Morricone, di conseguenza anche inconsciamente, per quanto senza paragoni, riconosco che l’espressività di una scena possa essere data da un’attesa o da una musica all’apparenza improvvisata, naturale, mentre poi è capace di rendere l’atmosfera che viene comunicata e così il rapporto con il dramma o il momento di festa.
Il vostro è un lavoro a quattro mani, entrambi firmate la regia: com’è realmente l’orchestrazione e la suddivisione del lavoro in fase di creazione e produzione?
È un lavoro che principalmente comporta una ‘battaglia’ tra Marco e me, per la trama, le scelte, perché due teste sono sempre due teste! La sceneggiatura è studiata in parallelo, parlandone, poi io mi occupo di strutturarla scrivendola, accompagnandola con il suo storyboard e tutti gli strumenti che ci aiutano a inquadrare la finalità. Per la realizzazione dei frame ce li dividiamo, dopodiché l’editing lo curo io e il sound design è sempre condiviso, una sorta di ricerca di canzoni e suoni il più possibile accostabili al tipo di atmosfera. Noi lavoriamo insieme da tre anni per la nostra casa di animazione, però abbiamo frequentato gli ultimi due anni di università insieme, quindi ci siamo confrontati sin da lì.
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