Meryl Streep entra sul palco annunciata quasi esclusivamente per nome e cognome, perché è tale la grandezza della stella, che il direttore – sommerso dall’eccitato rumore di applausi ed entusiasmi di ogni tipo – consapevole che non c’è bisogno di usare parole per presentare la diva al pubblico, opta per pochi aggettivi e due parole: Meryl Streep. L’attrice, per l’intera durata dell’incontro, tiene un tono sereno, spesso ironico, a tratti giustamente serio, con la costante di un profilo tutt’altro che gratuitamente divistico, anzi molto interlocutorio e partecipe, pur tradendo forse un po’ la stanchezza di questa giornata tutta dedicata a lei. Dopo poche parole s’inizia toccando la memoria, oltre che il cinema, e dunque è Il cacciatore di Michael Cimino ad introdurre la Streep interprete, sequenza che permette di ricordare il regista recentemente mancato, ma anche i primi passi cinematografici di lei, che però, subito, fa intuire un suo costante tratto d’umore leggero: “Sorprendente vedere questa scena dopo 150 anni: quanto era bello De Niro!”. Ricorda che: “Giravamo in West Virginia, con 34 gradi, io indossavo un maglione, lui la divisa e non aveva un goccia di sudore, era controllato! Mentre Cimino era praticamente nudo, seduto con questi piccoli boxer italiani. Tutta la troupe era seminuda dal caldo. Cimino, quando ho fatto il provino, mi chiese, secondo me, cosa avrebbe dovuto dire Linda. Credetti che i provini funzionassero in quel modo, e invece… poi ho lavorato con Harold Pinter e non era per niente così, no, no no!”.
Tutto iniziò a teatro, con maestri come Joseph Papp e Mike Nichols. Monda domanda come contribuirono a formarla come interprete. La Streep, ribadisce il suo tono ilare: “Sono informabile: nessuno mi può dire nulla, c’è in sala mio fratello, lo può confermare. Io amo i registi, ho lavorato con i più grandi, ma molti di loro non ci sono più, quindi… l’ultima parola ce l’ho io!”.
Dal teatro al cinema e viceversa, la versatilità dell’attrice le ha sempre consentito di muoversi con grande agio, ma cosa preferisce lei? “Oh mio Dio! Devo dire che mi piace sentire il respiro delle persone, quando trattengono il respiro, quando ridono se la pièce è divertente, ovviamente! Ciò detto, sono cose completamente diverse. La carica che ti dà il cinema è unica, in teatro è possibile ottenerlo solo se riesci a stabilire un’empatia con il pubblico”. Meryl Streep, tre film che le sono valsi il premio Oscar, il primo Kramer contro Kramer. Nonostante il tema impegnativo, la riflessione è serena e sdrammatizza il tutto: “Nel libro non è esplicitata la scena del tribunale, per cui non sapevamo esattamente cosa avrei detto: Dustin Hoffman disse che sapeva cosa avrebbe detto Joana. Ognuno ha scritto la sua versione: chi ha vinto? Io!”. Altro Oscar, il terzo, per The Iron Lady, spunto per farla riflettere sulle sue posizioni sociali e politiche: è noto che è una donna impegnata, libera, di sinistra, mentre Margaret Thatcher, che interpreta nel film, è di destra, eppure lei l’ha trattata con empatia: “È molto diversa da me, eppure… eppure… eppure… tutte noi donne abbiamo provato lo sdegno quando ci troviamo in un posto che si suppone non sia per noi. Di recente ho visto un video sul primo ministro australiano, non ho idea del partito a cui appartiene, però quest’uomo aveva delle certezze radicate e il modo in cui si rivolgeva ad una donna dell’opposizione aveva a che fare col fatto che fosse donna, ma lei è riuscita a tenergli testa. A Hillary Clinton dicono di parlare con voce più bassa ed essere più attraente, perché si dà più attenzione a ‘come’ si dice e non a ‘cosa’ si dice. La mia simpatia per la Thatcher nasce dalla difficoltà che ha affrontato come donna di potere per entrare in quel contesto”.
Eppure anche Meryl Streep ha un sogno nel cassetto, almeno cinematografico, che senza titubanza dichiara, ovvero quello di lavorare con Martin Scorsese. Le origini italiane del regista sono conosciute, e lei dichiara ancor più apertamente la sua ammirazione per le attrici italiane con un grande omaggio a Silvana Mangano e Anna Magnani: “La cosa che amo di loro è che le ho incontrate in un momento in cui non c’erano molti ruoli interessanti per le donne nel cinema americano, le ho viste nei festival o nelle rassegne, in università, quando queste cose si facevano. Devo dire che vedendo queste due donne sono rimasta colpita: erano due creature esotiche, di un altro mondo. C’era qualcosa di elementare in loro. La Mangano l’ho vista per la prima volta in Morte a Venezia, la Magnani in Pelle di serpente con Marlon Brando: sono rimasta inchiodata al muro. Sono pure, per questo in conferenza stampa ho citato Alba Rohrwacher tra le giovani che apprezzo, perché mi pare abbia questa purezza. La mia Francesca de I ponti di Madison County l’ho però costruita ispirata da Nucci, una signora della mia infanzia, che abitava nel quartiere, di origini italiane, che ricordo quando, con il vostro accento, chiedeva al figlio di gettare la spazzatura”.
L’incontro termina con una sequenza da Mamma mia! e la domanda del direttore sul fatto che lei da piccola pare volesse fare la cantante. Com’era iniziata, la chiacchiera, finisce con la gioia di un film che travolge la sala e permette fino alla fine all’attrice di trasmettere simpatia: “Ni… – risponde alla domanda diretta – quando ero ragazzina ho cantato in una produzione scolastica, ho cantato in francese Holy Night: per il New Jersey era una cosa eccezionale. Da lì mia madre, tutti i sabato mattina, mi portava a lezione a New York, percorreva un’ora e mezza di strada per farmi fare lezione: dopo due anni ho smesso, volevo fare la cheerleader!”.
Sono 42.191 le persone che hanno partecipato a eventi di Alice, 20.260 i biglietti emessi, 11.031 gli accreditati, 10.900 le presenze tra le proiezioni a ingresso libero e gli eventi
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