Una nazione di analfabeti e soprattutto di donne analfabete, era l’Italia nel 1924, (nel Sud del Paese il 40% dei bambini e dei ragazzi non andavano a scuola), quando il giornalista Luciano De Feo fondò la società anonima L.U.C.E , sigla che stava per “L’Unione Cinematografica Educativa”; l’intento di De Feo era proprio quello di utilizzare le immagini per educare chi non sapeva ancora leggere e scrivere.
Benito Mussolini, uno dei primi dittatori al mondo a comprendere pienamente l’importanza di quelli che oggi chiamiamo mass-media, ossia gli strumenti della comunicazione di massa, indispensabili per favorire, ampliare e confermare il consenso, prese la palla al balzo e l’anno seguente, il 1925, III anno dell’era fascista, trasformò il LUCE in ente morale, facendo in modo che da questo nascesse un formidabile strumento di propaganda,il “Giornale LUCE” (poi cinegiornale); nel 1927 dal LUCE, anzi dal suo promotore De Feo, nacque anche il festival Cinematografico di Venezia nel 1932 (non dimentichiamo che è la più antica rassegna di arte cinematografica del mondo).
L’Istituto Luce, come è giunto fino a noi, rappresenta un patrimonio di immagini inestimabile per la storia degli italiani: più di centomila cinegiornali, circa diecimila documentari, fondi importantissimi di registi e di aziende, 350 mila fotografie, archivi del movimento operaio e di moltissime istituzioni.
Ho avuto l’onore di fare parte del consiglio di amministrazione di questa istituzione per tre anni, dal 2003 all’inizio del 2007, insieme a colleghi che mi piace qui ricordare e ringraziare quali l’ottimo presidente Andrea Piersanti, lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, Luciano Sovena, oggi ancora amministratore delegato e il mio caro amico Pupi Avati che era allora a capo di Cinecittà Holding. Quando prendemmo in mano l’Istituto questo aveva sporadici rapporti con Rai Tre, lo lasciammo, dopo soli tre anni che produceva per tutta la Rai, per Mediaset, la 7, SKY e aveva avuto un rilancio reale, valorizzando il bene pubblico e soprattutto compiendo un lavoro impagabile di “valorizzazione della memoria nazionale”.
E’ stupefacente che nei giorni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia si parli di Istituto Luce sull’orlo del fallimento! Non possiamo permetterlo, gli italiani tutti, che siano federalisti o meno, non possono permetterlo. Perdere l’archivio del Luce vorrebbe dire perdere la nostra storia, la storia delle nostre famiglie, la storia di tutti noi. Cosa avverrà? Vorrei a questo proposito citare Giulio Andreotti
Andreotti: “…a pensar male si fa peccato ma ci si indovina!”. Io penso che l’Archivio, vero patrimonio dell’Istituto, rischia di essere smembrato per poi essere venduto a privati; proprio Giulio Andreotti, nel 1948, in qualità di sottosegretario delegato al cinema, in un’Italia ferita e poverissima a causa della guerra perduta, riuscì a convincere il governo di allora a trovare le risorse necessarie per salvare il LUCE sull’orlo della bancarotta; nonostante la crisi mondiale, e i (forse) necessari tagli alla cultura ricordiamo a Giulio Tremonti e al Governo tutto che l’Italia di oggi non può e non deve essere paragonata a quella di sessantadue anni fa e che in questo caso i soldi si possono e si debbono trovare.
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