È la vigilia di Natale. I parigini più fortunati si preparano a scartare i regali con le rispettive famiglie. Altri guardano la televisione a casa, da soli. Altri ancora, come Serge, lavorano. Serge è l’unico medico di guardia di SOS-Médecin. I suoi colleghi si sono tutti defilati. In ogni modo, non ha più nulla da dire, in quanto si è preso troppe libertà nell’esercizio della professione medica ed è a un passo dalla radiazione. Le visite si susseguono e Serge tenta di stare al ritmo sebbene a malincuore, fino quando, a un certo punto, gli comunicano l’indirizzo della paziente successiva dalla quale deve recarsi. Si tratta dell’indirizzo di Rose, una persona che conosce bene e che lo chiama in suo aiuto. Arriva sul posto contemporaneamente a un fattorino di Uber Eats, Malek, anche lui, in servizio quella sera…
Appuntamento il 10 settembre con Medusa per Chiamate un dottore!, divertente commedia francese di Tristan Séguéla.
“Non sono un medico e non lo sono mai voluto diventare – dice il regista – Ma indubbiamente, ho una specie di vero e proprio culto, come molti, per la professione medica e penso, come tante persone, che non vi sia missione più bella di quella di curare coloro che hanno bisogno di aiuto. Perché, allora, mi sono messo in testa di raccontare la storia di un medico così disilluso e poco raccomandabile? Il motivo più evidente è da ricercare nel mio gusto pronunciato per gli antieroi della commedia, ma c’è anche una ragione un po’ più personale che riguarda l’immagine che conservo di mio nonno materno, un medico condotto, che, come Serge, aveva perduto, a suo tempo, il senso della sua vocazione. Da bambino, non capivo come si potesse essere sempre così tristi e di cattivo umore, quando si era dotati di questi super poteri. Questa immagine di mio nonno è venuta a cozzare con quella di un amico che, con una laurea in medicina nuova di zecca in tasca, ha scelto di mettersi in proprio, diventando guardia notturna per SOS Médecin. All’epoca, non aveva ancora compiuto 30 anni, faceva le visite spostandosi in scooter e arrivava a casa dei pazienti in jeans/scarpe da ginnastica/zaino, solo per dire che non aveva assolutamente l’aspetto di un medico. Rimanevo affascinato dai racconti delle sue visite, dalla sua mancanza di formalità a volte e anche dalla libertà che trovava in questo stile di vita. Per dirla in breve, sono stati i racconti di mio nonno e quelli del mio amico che hanno fatto nascere in me la voglia di dare vita a un personaggio, un medico notturno, di cui racconto la storia nel film. Ci sono, indubbiamente, dei temi più leggeri per divertire il pubblico, ma ho sempre avuto un debole per le commedie che non hanno paura di affrontare temi più seri e che hanno l’ardire di usare l’angoscia come elemento esilarante, senza però mai prendersene gioco”.
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