BARI. “Non credo di meritarlo questo premio. L’attore interpreta dei ruoli in cui talvolta si ritrova, altre volte restituisce quello che il regista gli chiede. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare con grandi registi, in fondo la cosa mi ha un po’ viziato. Voglio condividere il premio ricevuto stasera con i registi italiani con i quali ho lavorato e poi con Ingmar Bergman e con mia moglie. Se non ci fossero stati loro non sarei qui”. Così l’attore svedese Max von Sydow, 83anni il prossimo aprile, che ha ricevuto al Teatro Petruzzelli dalle mani di Ettore Scola il Premio Fellini 8½ del Bif&st.
“Caro Max peccato che non abbiamo avuto l’occasione di lavorare insieme. Ti ho conosciuto nei cineclub, quando ne Il settimo sigillo eri il cavaliere che gioca a scacchi con la morte. Sai giocare a scacchi?”, gli chiede ironico Scola. E von Sydow risponde con un piccolo gesto della mano. Così così.
Poi l’attore ha presentato al pubblico Molto forte, incredibilmente vicino(Extremely Loud and Incredibly Close) il film drammatico, in programma dopo la cerimonia del Premio, diretto da Stephen Daldry e per il quale von Sydow ha avuto la seconda nomination agli Academy come Miglior attore non protagonista, dopo quella ottenuta nel 1989 con Pelle alla conquista del mondo di Bille August.
“Questo film commovente e molto vicino al mio cuore racconta una storia d’amore e di speranza con protagonista un ragazzino prima sopraffatto da un grande dolore e poi capace di farsene carico”, dice l’attore. Molto forte, incredibilmente vicino, in sala il 23 maggio con Warner Bros., ha al centro la vicenda di un ragazzino difficile che a New York fa i conti con la tragica perdita dell’amato padre negli attentati alle Torri gemelle dell’11 settembre. Presentato all’ultima Berlinale e tratto dall’omonimo romanzo scritto da Jonathan Safran Foer nel 2005, il film è interpretato da Sandra Bullock, Tom Hanks e dal giovane Thomas Horn.
Von Sydow è stato l’interprete di ben 11 film di Ingmar Bergman, ha lavorato con registi del calibro di Scorsese, Spielberg, Allen, Wenders, Milius, Huston, Pollack e in Italia con Argento, Faenza, Bolognini, Zurlini e Lattuada. L’attore ha tenuto oggi una master class subito dopo la proiezione del suo unico film da regista Katinka. Storia romantica di un amore impossibile (1988), un dramma sentimentale fotografato da Sven Nykvist.
E’ importante per lei che il romanzo di Jonathan Safran Foer sia stato trasferito sul grande schermo?
Sì, perché mi sono commosso leggendo la sceneggiatura di questo film sulla speranza. E’ il racconto di una storia positiva anche se ispirata da un evento diabolico. Non a caso ho deciso di accompagnare e sostenere il film nel suo percorso distributivo sia nelle tappe americane che in quelle europee. Purtroppo non mi piace il titolo scelto e poi mi sono arrabbiato per l’uscita negli Usa avvenuta troppo in fretta, prima degli Oscar.
Come è stato il rapporto sul set con il regista Stephen Daldry?
Molta sintonia perché Daldry è anche un regista teatrale e questo comune background ci ha avvicinato. E mi è piaciuto come si è preparato per il film. A New York è stato in contatto stretto con l’associazione, “I figli del martedì”, fondata da persone coinvolte direttamente nella tragedia dell’11 settembre. Ho visto poi il film con loro e molti piangevano.
E’ la prima volta che ricopre un ruolo senza parole e dialoghi?
Sì, ma non c’è nessuna differenza con una parte recitata, in fondo si comunica sempre con qualcuno. Il personaggio dell’inquilino, come il ragazzino del film, ha subito uno shock. Ha perso il suo amore, la famiglia, gli amici, dopo che gli Alleati per due giorni ininterrottamente bombardarono Dresda nel 1945 provocando 10mila morti. Da allora si è punito e ha scelto di non parlare più e di comunicare solo con messaggi scritti.
Chi era per lei Ingmar Bergman che ha conosciuto quando la chiamò a far parte della sua compagnia del Teatro municipale di Malmö?
Un uomo, divertente e brillante, a dispetto di chi lo credeva triste e oscuro, con una grande immaginazione e senso di humour. Un uomo di grande intuito, che subito vedeva l’anima e il carattere di una persona. Un regista di cinema disciplinato tant’è che si diceva che Bergman in inverno e primavera scriveva la sceneggiatura, in estate girava, in autunno montava e a Natale il film era pronto. Nel frattempo era impegnato anche in una o due produzioni teatrali. Odiava il rumore sul set dove esigeva il silenzio. Non ho mai capito dove trovasse tanta forza ed energia.
Oltre 140 i film interpretati, ce n’è uno al quale è particolarmente affezionato?
Pelle alla conquista del mondo film nel quale il personaggio del padre si trova in situazioni diverse e ogni volta reagisce in maniera differente. Raramente un attore ha la possibilità di interpretare personaggi non monotematici e io ho avuto questo privilegio.
Ha lavorato con diversi registi italiani, chi ricorda maggiormente?
Valerio Zurlini e il suo Il deserto dei tartari, una storia fantastica da cui un film di grade profondità psicologica.
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