Maurizio Sciarra


Quella di Alla rivoluzione con la due cavalli è una storia internazionale per vocazione. Parigi, anno 1974. Due ragazzi partono diretti a Lisbona per festeggiare la caduta del regime di Salazar. Un racconto che attraversa l’Europa a bordo di uno dei feticci degli anni Settanta, la due cavalli, che il 2 agosto farà rotta verso il Festival di Locarno, insieme ad altre tre pellicole che battono bandiera italiana.
Il regista, Maurizio Sciarra, che ha debuttato nel 1997 con La stanza dello scirocco, la voglia di raccontare un’avventura dai sapori internazionali ce l’aveva fin dall’inizio. Un’ambizione che proprio in questi giorni sta trovando riscontri concreti sul mercato straniero. Prima della notizia della selezione la Festival di Locarno, infatti, il film è stato proiettato agli Italian Screenings di Siena, evento organizzato dall’agenzia Italia Cinema (scopri di più nel nostro dossier), per far conoscere ai compratori di tutto il mondo, le novità del cinema italiano. Davanti a questa platea Alla rivoluzione sulla due cavalli ha dimostrato di avere stoffa per conquistare anche gli spettatori stranieri, costringendo gli organizzatori a mettere in cartellone una seconda proiezione per accontentare le richieste dei compratori.

Sciarra, si aspettava di essere selezionato a un festival importante come quello di Locarno?
I criteri con cui i critici scelgono i film per queste manifestazioni sono talmente soggettivi e imprevedibili che non mi aspetto mai niente. Quando giro un film non metto mai in conto, tra i miei obiettivi primari, quello di partecipare a un festival. Quello che mi interessa è arrivare diritto al cuore di un certo pubblico e se poi, lungo questa strada, vengo scelto per qualche festival, allora è una conferma che ho lavorato bene. Una specie di prova del nove, insomma.

A che tipo di pubblico pensava mentre scriveva e girava il film?
A due categorie di persone. Prima di tutto a quei quaranta-cinquantenni che negli anni Settanta l’Europa l’hanno attraversata davvero, magari proprio a bordo di una due cavalli, alla ricerca di libertà e democrazia. E poi ai più giovani, che hanno voglia di fare viaggi simili, magari affascinati dalla musica degli anni Settanta che fa da colonna sonora a tutto il film.

Un tipo di pubblico che non è soltanto italiano, il che ribadisce la vocazione internazionale di questo film. Una scelta voluta?
Una scelta voluta, ma non costruita tatticamente per il mercato straniero. Credo che in generale questo sia un momento in cui il cinema italiano sta uscendo dall’ambito strettamente nazionale, ma per quanto mi riguarda, in questa storia non poteva che respirarsi un’aria Europea. A partire dai luoghi geografici in cui è ambientato il film, che parte da Parigi per arrivare in Portogallo.

C’è qualcosa di profondamente italiano nel film?
Il modo di raccontare è radicalmente italiano, così come l’anima di chi ha scritto sia il libro che ha ispirato il film, sia tutta la sceneggiatura.

Locarno sarà anche un’ottima vetrina per Adriano Giannini, figlio di Giancarlo e debuttante nel suo film. Come mai lo ha scelto tra i protagonisti?
In 15 anni passati a fare l’aiuto regista credo di aver sviluppato un certo fiuto per scoprire nuovi talenti. Sono convinto che Adriano abbia la stoffa necessaria per sfondare, l’ho capito dal primo provino che gli ho fatto, una selezione accurata e molto lunga che mi ha convinto ad investire su di lui anche per una parte così importante. In Italia c’è il vizio di pescare sempre tra attori visti e stravisti, a me piace prendermi la responsabilità di rischiare, e Adriano si è rivelato un’ottima sorpresa.

Con quale spirito arriverà a Locarno?
Lusingato per essere stato scelto, indubbiamente. Ma armato di un alto tasso di competitività.

autore
18 Luglio 2001

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