E io ti seguo di Maurizio Fiume racconta la storia del giornalista del ‘Mattino’ Giancarlo Siani, corrispondente da Torre Annunziata ucciso dalla camorra nel 1985. Il film, autoprodotto dalla Icarowebfilm (vedi il sito), ora in cerca di distribuzione, è costato pochissimo: girato in digitale in quattro settimane, ha partecipato con successo al Festival des Films du Monde di Montreal. Protagonista Yari Guglucci, affiancato, tra gli altri, da Roberto De Francesco, Carlotta Natoli, Ginestra Paladino, Ninni Bruschetta e Pino Calabrese. In Nordamerica sembra essere piaciuto in particolare lo stile giornalistico del racconto, asciutto e insieme intenso, privo di autocompiacimento. “Gli atti processuali emersi dalle confessioni di numerosi pentiti sono stati condensati nel racconto di un unico pentito per rendere la linearità dei fatti drammaturgicamente interessante”.
Perché hai voluto raccontare proprio questa storia?
Le ragioni sono sostanzialmente due. Prima di tutto, conoscevo Giancarlo Siani e mi aveva colpito molto la sua vicenda. Avevamo più o meno la stessa età e abbiamo vissuto la Napoli di quegli anni. E poi mi interessava raccontare l’atmosfera napoletana di quel periodo, legata sia al contesto politico sociale che al giornalismo. Questa è comunque soprattutto la storia di un giovane: non il solito stereotipo napoletano, di chi sostanzialmente non vuole fare niente, ma uno che vuole fare il suo lavoro a tutti i costi perché è la sua vita e ci crede.
Pensi che la vostra generazione sia stata poco valorizzata o compresa?
Sì, abbiamo pagato, soprattutto a Napoli e nel Meridione, per una vecchia etichetta: quella della mancanza di entusiasmo di chi cerca soltanto il posto fisso e non la propria affermazione professionale e culturale. La generazione degli anni ’80 ha scontato più di quella successiva questa considerazione culturale.
Nel film Siani sembra molto solo. Lo era?
Ritengo che non sia mai stato capito, soprattutto dai colleghi più anziani, che lo consideravano un alieno. Era uno che stava sul campo e cercava di raccontare una realtà che diventava ogni giorno più cruenta. E non è stato capito neanche dopo, visto che nessuno ha preso il suo posto. La sua intuizione, fatale, era stata che la camorra non si accontentava più di una guerriglia tra bande, ma aveva iniziato una relazione con la mafia siciliana. Ma mentre sulla mafia esistevano studi e analisi, sulla camorra non si sapeva – e non si sa ancora – niente. Per questo Siani stava così spesso negli archivi a ricercare informazioni.
Ma perché nel film il cognome Siani non viene mai pronunciato?
Non ho ricevuto l’autorizzazione ufficiale della famiglia. Conosco abbastanza bene il fratello, oggi unico erede, che mi aveva dato l’approvazione per il documentario che avevo girato nel ’91. Ma in questo caso aveva già venduto i diritti a un altro produttore. Questo non mi ha impedto di girare la storia, ma non ho potuto utilizzare il nome, anche se ci sono gli articoli firmati pubblicati sul ‘Mattino’.
Il film ha avuto una storia produttiva difficile…
Questo film è nato da una sceneggiatura che ho scritto tempo fa e poi trasformato negli anni. Ho più volte chiesto un contributo statale, ma mi è stato sempre negato. In questa ultima occasione non ci ho neanche provato, per i tempi stretti, ma ho chiesto il riconoscimento dell’interesse culturale, che aiuta poi per i contributi e le agevolazioni per la distribuzione. Mi è stato negato anche questo, rendendo la vita di un film autoprodotto come questo, ancora più difficile. Ma a livello internazionale il lavoro è stato riconosciuto.
Adesso cosa farai?
Spero di vendere E io ti seguo, in Italia e all’estero, poi ho in cantiere da tempo un nuovo film sul caso Ustica. Un’idea che parte da una storia vera e arriva ai limiti della fantascienza, basandosi sul romanzo di un giovane scrittore.
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