Mattotti: “La Patagonia mi ha insegnato il dinamismo cinematografico”

L’intervista con l’illustratore e regista de La famosa invasione degli orsi in Sicilia, ospite a Trento per Patagonia, mostra dei disegni dal suo taccuino del viaggio argentino


TRENTO – Lorenzo Mattotti e Jorge Zentner, amico e scrittore argentino, hanno attraversato insieme la Patagonia – da Buenos Aires alla Terra del Fuoco, nel 2004 – , viaggio ispiratore per l’illustratore e regista italiano per realizzare degli “appunti visivi” presi su un taccuino di carta nepalese fatta a mano: rientrato a Parigi, trascorrono alcuni mesi prima che Mattotti senta la spinta di trasferirli su delle tavole, di carta orientale, di cui 18 sono esposte alla Torre Mirana di Trento (fino al 19 maggio pv), protagoniste dell’allestimento “bicolore”, bianco&nero – questi i due colori delle opere in mostra – dal titolo Lorenzo Mattotti – Patagonia

Un volume – che si sviluppa in orizzontale, per essere specchio alla geometria delle tavole stesse (edito Lazy Dog, euro 35) – accompagna la mostra e si sfoglia dapprima in 24 pagine fronte e retro, perché la vastità della Patagonia, nella concezione dell’artista, abbisogna della doppia pagina per sviluppare la panoramica di ciascuno dei disegni in bicromia; il suggestivo libro viene poi interrotto a metà da un inserto celeste su cui si leggono in sintesi (e in quattro lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo) le suggestioni che lo stesso Mattotti porta con sé da quel viaggio, e ancora le parole di Melania Gazzotti, curatrice della mostra, così come quelle di Zentner, che evoca Il respiro delle balene. Seguono poi altre cinque pagine singole che ancora illustrano la sconfinatezza delle steppe e la maestosità delle montagne, solo fronte questa volta ma sempre in bianco e nero, per poi passare alla vita del colore, per altri 18 disegni.

Signor Mattotti, lei ha disegnato il manifesto del 71° Trento Film Festival: come nascono le montagne dell’illustrazione che ha creato per questa edizione, e con quale spirito vogliono raccontare lo specifico paesaggio?

Nascono da un periodo in cui disegno nei miei quaderni vari paesaggi, per cui improvviso e lavoro anche sulle montagne, ma in maniera molto astratta, libera, facendomi prendere dai segni, perché non c’è un riferimento fotografico, è qualcosa più connesso alla lavorazione degli spazi, delle forme, dei volumi. Le montagne le avevo già affrontate per il film degli Orsi, per cui è un tema che mi piace molto, su cui lavoro in maniera anche molto sintetica, però per questo manifesto ho preso dei segni che avevo già fatto, li ho rielaborati graficamente, ed è venuta questa spazialità; ho voluto lavorare un po’ come se fosse una scenografia del film, ariosa, luminosa, non volevo restituire una montagna angosciante, insomma ho preso l’occasione di Trento al balzo, mi son divertito a fare le montagne perché è davvero un paesaggio che mi piace molto, anche se non sono un alpinista.  

Veniamo a Patagonia. Le illustrazioni nascono china su carta, ‘per rappresentare l’essenza del luogo’, si legge nel volume. Però ci sono anche diversi altri disegni a colori nel progetto. Mi racconta sia la scelta della stesura a due colori, che poi l’utilizzo di una cromia più articolata?

Il block notes che c’è nella seconda parte del volume è la riproduzione dei miei disegni diretti che facevo in viaggio, che nascevano colorati: erano disegni veloci, anche perché in Patagonia c’è sempre tanto vento e disegnare in viaggio è complicato, per quello sono proprio ‘buttati lì’. Mentre quelli in bianco e nero sono una rielaborazione e una riflessione sulla spazialità, quindi successivi al viaggio: volevo ricreare la spazialità a 360° che si ha in questi luoghi enormi, perché avevo fatto delle foto ma non rendevano l’idea, anche perché vent’anni fa non si poteva fare lo scatto panoramico, ma le fotografie ritraevano una linea e non restituivano affatto il fascino di quei luoghi, che sta proprio nella vastità e nei movimenti dello spazio, è l’occhio che crea il suo viaggio d’osservazione. Gli spostamenti in Patagonia mi davano un sacco di tempo, perché lenti e in macchina, e quindi c’era la possibilità di guardare le linee, ed è come se lo sguardo le scansionasse: quando sono tornato, con un processo legato alla memoria, ho cercato di riprendere questi movimenti del paesaggio, che avevo raccolto con gli occhi, e mi sono lasciato andare; sono tutti improvvisati, seguendo i movimenti della memoria, come un solfeggio del paesaggio, come se queste linee creassero una musica, propria del luogo. Io volevo cercare di trovare l’essenza del luogo. Forse è lì che ho imparato a lavorare sul paesaggio, solo sul paesaggio.

Questo tipo di paesaggio le ha anche insegnato il dinamismo cinematografico?

Sì, è dinamico, infatti sono spazi che è meglio filmare. Io col pennello ho cercato di riprenderli e fissali, infatti è qualcosa legato soprattutto al viaggio che fa l’occhio sul paesaggio e quindi il cinema c’entra: volevo creare un paesaggio generato dal movimento dello sguardo. È il viaggio dello sguardo che crea il paesaggio. 

Continuando il discorso sul dinamismo dell’occhio e considerando anche l’evoluzione del progetto, ha mai pensato potesse prendere una forma davvero dinamica, cinematografica?

Sì, ma non è facile. Io lavoro solo col disegno, mentre dovrei lavorare con la macchina da presa, è più difficile: nelle tavole adesso c’è solo un riassunto di quello che è il paesaggio della Patagonia; potrebbe essere fatto in animazione, ci sono film sperimentali in tal senso. 

Il cinema – sia per gusto personale verso autori o correnti, oppure per tecniche o cromie – la influenza nella creazione delle sue illustrazioni? Cioè si sente ‘contaminato’ dal cinema?

Non molto. Certo, sono sicuramente contaminato dal mio immaginario, dai miei ricordi di cinema, da quello che ho visto, come filtro: quando creo delle storie a fumetti sicuramente succede molto di più, però quando creo immagini ormai è più un viaggio legato ai segni, alla forma, alla materia, non penso in maniera cinematografica, penso distruggendo i segni, lavorando con le linee. 

Lei ha avuto anche esperienze su commissione dal cinema, come per Eros di Antonioni, con Soderbergh e Wong Kar-wai. 

Era una commissione sì, ma in cui ho dovuto inventare tutto, perché non avevo esperienze del filmare i disegni. Io avevo questi disegni e a loro interessava usarli, ma non si poteva fare animazione per via di costi eccessivi e tempi lunghi, e quindi con uno studio di Udine, un carissimo amico operatore, ci siam detti di sperimentare cosa volesse dire filmare la pagina di un libro che gira, filmare i disegni con riflessi e luci; abbiamo lavorato completamente senza usare il computer perché non volevo fosse assolutamente un effetto freddo, volevo lavorare come lo sguardo puro; abbiamo illuminato con delle pile i disegni o per Wong Kar-wai abbiamo lavorato sulle trasparenze delle pagine dei miei quaderni, che si trasformavano. Abbiamo dedicato due mesi di tempo per esplorare, anche con il passo più lento della camera, ed è uscito qualcosa che m’ha molto affascinato. 

C’è invece speranza che lei, in prima persona, possa realizzare un altro film per il cinema?

L’animazione è lunga, ci vogliono troppi soldi, richiede molte discussioni con i produttori, è stata una grande fatica: è stato già un miracolo riuscire a fare il film degli Orsi, è stata un’esperienza molto complicata, è davvero un miracolo, e sono molto contento così. Non so se sfidare ancora il caso sia giusto. 

Ha una storia o dei disegni per le mani da poter sviluppare?

No, in effetti non ho tra le mani un progetto a cui creda veramente e per cui valga la pena dedicare ancora tanti anni.

Però gli Orsi credo le restituiscano ancora molta soddisfazione, il film a distanza di quattro anni ha ancora una tenitura stabile, in quanto a consenso e diffusione.

Per fortuna sì, essendo una favola ha la possibilità di vivere sempre. Io sono felice del risultato, anche se l’aspettativa dei produttori, rispetto al grande pubblico, non è corrisposta come incasso. Sicuramente è una long story, per fortuna ci sono sempre dei nuovi bambini, a cui io sono sempre molto contento di presentarlo, e in effetti continua a funzionare. Farne un altro? Per adesso non ho le energie, certo ‘mai dire mai’, ma conti anche che… ho la mia età. 

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