“Due film italiani in concorso, a Cannes non è così frequente, è una splendida notizia per il nostro cinema”. Così Matteo Garrone a pochi minuti dall’annuncio della selezione ufficiale di Cannes 61, raggiunto al telefono da CinecittàNews. Il cineasta quarantenne, autore che persegue da tempo una ricerca originale nello stile e forte nei temi toccati, sarà al festival con Gomorra, tratto dal best seller di Roberto Saviano, un libro choc che molti avrebbero voluto portare al cinema. Prodotto da Domenico Procacci con Rai Cinema e Sky, il film uscirà il 16 maggio nelle nostre sale e farà certo discutere, come l’altra pellicola in concorso, Il divo di Paolo Sorrentino. “La selezione di due registi italiani al festival più importante del mondo conferma che si sta facendo un buon lavoro. C’è una nuova generazione di autori italiani che riesce ad affermarsi in ambito internazionale ed è un bene che i nostri film non vengano più visti come casi isolati ma frutto di un lavoro fatto con passione e di un impegno costante”, commenta a caldo Procacci. Mentre l’AD di Rai Cinema Caterina D’Amico considera Gomorra “un film bello e rigoroso che saprà rappresentare al meglio il nuovo cinema italiano”.
Garrone, lei è stato in concorso a Berlino, con “Primo amore” e a Cannes, ma alla Quinzaine, con “L’imbalsamatore”. Però questa è la prima volta che arriva in competizione al festival più importante del mondo.
Credo che sia una grande occasione che arriva al momento giusto.
Teme che la presenza di un altro film italiano interpretato dallo stesso attore, Toni Servillo, possa creare un effetto di saturazione?
No, perché sono due film diversi. Il fatto che siano entrambi in concorso penso che sia un segnale molto bello. Erano più di dieci anni che non c’erano due film italiani in concorso. E’ la conferma che il cinema italiano ha di nuovo un ruolo importante.
E’ vero che “Gomorra” sta suscitando un grande interesse anche tra i distributori stranieri?
Sì, c’è molto interesse, anche senza vederlo. Ma non è merito mio, è merito del libro, un libro tradotto in 33 lingue.
Non crede che si sia un aspetto un po’ morboso, da parte degli osservatori stranieri, l’interesse per un’Italia dove mafia e camorra imperversano, l’Italia dei rifiuti e del malaffare?
Credo che la curiosità morbosa, se c’è, sia minima. E’ vero che dal libro, come dal film, esce una realtà sorprendente anche per chi vive in Italia. Ma è una realtà che esiste… Del resto credo che il film sia stato amato dai selezionatori di Cannes soprattutto per come rappresenta le cose che racconta, per lo sguardo. E questo vale anche per Il divo di Paolo Sorrentino.
C’è una continuità stilistica tra “Gomorra” e i suoi film precedenti?
Sono due anni che lavoro a questo progetto, passando da fasi di entusiasmo a momenti di sconforto, e in questo momento ho una capacità autocritica pari a zero. Quello che posso dire è che ho cercato una grande semplicità, ho cercato di rendermi invisibile perché questa materia è così potente che merita un linguaggio da reportage, come se lo spettatore fosse lì, in quei luoghi e tra quei personaggi. Ogni volta che cercavo un’inquadratura più complicata, sentivo in modo naturale che stonava e tornavo sui miei passi.
Sa che il giurato italiano è Sergio Castellitto?
Non lo sapevo… Non lo conosco personalmente, ma so che ha letto e amato Gomorra e forse gli sarebbe piaciuto farne un film.
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